Politica, una grande occasione di cambiamento

L’incarico a Mario Draghi è un segno di cambiamento. “Non possiamo pretendere che le cose cambino se continuiamo a fare le stesse cose”. Il monito di Albert Einstein sembra calzare a pennello per giudicare l’attuale fase politica in cui è sempre più evidente non solo che la politica non riesce a tenere il passo il cambiamento imposto dalla crisi, ma anche che le regole istituzionali e di governo si dimostrano sempre più inadeguate.
I giorni che stiamo vivendo sono infatti un esempio sconcertante di una politica finora incapace di dare risposte alle crisi. Ma nonostante tutto non è del tempo delle accuse, delle vendette, delle rigidità ideologiche. Si può ripartire con la volontà di cogliere l’opportunità di avviare un nuovo periodo basato sulla volontà di costruire. La crisi può, anzi deve essere una grande occasione.
Con la coscienza che il primo e più importante impegno è quello di affrontare con tutti i mezzi le tre emergenze, sanitaria, economica e sociale, emergenze che il presidente della Repubblica ha ricordato con forza alla fine della prima tornata di consultazioni (e ha ricordato prima di conferire l’incarico a Mario Draghi). Bisogna ricordare che sullo sfondo c’è la necessità di profonde riforme istituzionali per superare tre grandi punti deboli attuali: 1) non è garantito il doveroso legame tra eletti ed elettori; 2) non si sviluppa un chiaro esercizio del potere di governo; 3) non esiste un rapporto costruttivo e non conflittuale tra le diverse competenze istituzionali, si tratti delle competenze tra Stato e Regioni così come quelli tra politica e magistratura.
Cambiare o almeno aggiornare le regole non è tuttavia facile sotto il duplice profilo del metodo e del contenuto. Le esperienze più recenti sono in gran parte disarmanti: sia per quanto riguarda le riforme approvate, sia per quelle che si sono arenate in Parlamento o che sono state bocciate dal popolo.
Sono essenzialmente due le riforme costituzionali di peso che sono state approvate negli ultimi vent’anni, ratificate peraltro anche da altrettante consultazioni popolari. Riforme che tuttavia hanno aperto più problemi che soluzioni. La prima è stata la complessa riforma del Titolo V con il tentativo di creare le basi di un nuovo assetto federale dello Stato, la seconda è stato il taglio del numero dei parlamentari, approvato nel novembre scorso e di cui si vedranno gli effetti con le prossime elezioni. Il più ampio progetto di riformare della Costituzione è stato comunque promosso e sostenuto dal Governo Renzi nel 2016 e bocciato dal popolo.
I tentativi di riforme sostanziali comunque non sono mancati negli ultimi decenni. Significative le esperienze, tutte negative, delle tre commissioni bicamerali armate di buoni propositi e i cui risultati si sono regolarmente insabbiati nei labirinti parlamentari. La prima bicamerale nel 1983 era presieduta da Aldo Bozzi, la seconda nel 1992 da Ciriaco De Mita e poi da Nilde Iotti, la terza nel 1997 da Massimo D’Alema. La logica era quella di cercare un vasto consenso perché le regole del gioco dovrebbero, giustamente, essere condivise tra tutti i protagonisti. Ma la realtà politica italiana sembra da tempo refrattaria ad ogni ipotesi di unità per un bene comune.
Le vicende che stanno accompagnando questa crisi d’inverno sembrano peraltro ancora una volta dimostrare come i diversi partiti guardino più al (presunto) interesse proprio che non alla realtà dei problemi del Paese. Lo dimostra l’ostilità con cui continua ad essere considerata l’ipotesi di un Governo di vera unità nazionale, un’ipotesi che dovrebbe essere del tutto naturale in un periodo di grave emergenza.
Eppure a parole tutti (pur se in prospettive diverse) sottolineano la necessità di rimettere in moto il Paese, di attuare riforme nei principali campi d’intervento dello Stato dalla pubblica amministrazione alla giustizia. Passi peraltro fondamentali perché i fondi europei del piano Next Generation Ue possano essere prima ottenuti e poi produttivamente spesi.
Forse non è stato spiegato abbastanza bene che i 209 miliardi che l’Europa ha destinato all’Italia non sono per nulla gratis, ma sono sottoposti a precise condizionalità rispetto alle quali sembrano acqua fresca le regole del tanto osteggiato Mes. Con un calendario preciso, come ha puntualmente ricordato Mario Deaglio su Mondo Economico https://mondoeconomico.eu/le-analisi-di-mario-deaglio/signori-politici-prendete-in-mano-il-calendario-e-fate-progetti-seri .
Senza dimenticare che i soldi e i progetti sono indispensabili, ma altrettanto importanti sono le procedure perché il cammino delle piccole o grandi opere è ormai un percorso a ostacoli tra la complessità degli appalti, i ricorsi al Tar, i veti dei piccoli Comuni, le opposizioni degli immancabili gruppi ambientalisti.
La gestione dei fondi europei, decisivi per ridare competitività al sistema Italia, non può che richiedere responsabilità e competenza. E non si scopre nulla di nuovo affermando che responsabilità e competenza sono due nozioni che è difficile riscontrare in chi ha costruito sull’antipolitica il proprio successo, in chi nonostante tutto vede l’Europa come una controparte ostile, in chi crede che le politiche della spesa facile possano continuare all’infinito.
La classe politica è chiamata, ora più che mai, a dare un esempio di realismo, di pragmatismo, di capacità e anche di creatività. Per una politica che sappia guidare e accompagnare la riscoperta dello spirito di servizio, della ricerca di un bene comune.
Nelle università, nelle imprese, nel Terzo settore, nelle istituzioni fuori dal Palazzo, esistono esperienze di alto livello che potrebbe utilmente affiancare una politica che decidesse di riscoprire il valore della passione sociale. Personalità a cui si può chiedere un anno di servizio civile per far uscire il Paese dalle troppe secche in cui si sta arenando. La politica, a breve termine, dovrebbe uscire dagli schemi tradizionali e affrontare con passione e concretezza le nuove sfide.
Con la convinzione tuttavia che se si volesse veramente ridare credibilità al sistema di Governo bisognerebbe scegliere a medio termine obiettivi capaci di rifondare il patto tra la politica e i cittadini.
Nel concreto un primo passo da compiere sarebbe quello di una riforma elettorale un grado di mettere in soffitta le liste bloccate. Le ipotesi possono essere due: il ritorno delle preferenze o, meglio, una legge elettorale basata sui collegi uninominali in modo da garantire un rapporto diretto tra i cittadini e gli eletti.
Un secondo passo, ancora più importante dopo la riduzione del numero dei parlamentari, sarebbe il superamento del bicameralismo perfetto che è ormai una reliquia procedurale perché il sempre più frequente ricorso al voto di fiducia blocca ogni lavoro di approfondimento e modifica da parte di una delle due Camere.
Un terzo passo, altrettanto ambizioso quanto temerario, sarebbe l’attuazione reale della teoria di Montesquieu sulla separazione dei poteri. Lo strumento potrebbe essere lo stabilire l’incompatibilità tra il ruolo di ministro e quello di parlamentare, separando così il potere esecutivo da quello legislativo. Ne deriverebbero governi più stabili e lavori parlamentari più efficienti. Non è un principio astratto: lo dimostra l’esperienza secolare della Svizzera in cui i sette ministri (Consiglieri federali) lasciano nel momento dell’elezione il loro eventuale seggio in Parlamento. E dove non esiste la crisi di Governo, nemmeno come genere letterario.
Un quarto passo dovrebbe prevedere la revisione delle competenze regionali non tanto per limitarle quanto per porre fine a quel principio della “legislazione concorrente” fonte di equivoci, ricorsi e inefficienze. Come dimostra fin troppo bene il disastro delle politiche scolastiche dopo un’estate in cui l’unico problema sembrava quello dei banchi più o meno a rotelle.
A questo punto l’unica via di uscita, difficile, probabilmente velleitaria, ma non irrealistica una volta superate le più gravi emergenze, potrebbe essere quella di una nuova Costituente, come quella che ricostruì la logica democratica e le istituzioni dopo la caduta del fascismo.
Cinque temi impegnativi, ma che potrebbero aiutare a ridare ossigeno ad un paese scoraggiato. Ma di fatto la politica italiana è indirizzata sulla strada opposta. Con il triste spettacolo che vediamo in questi giorni.
(Pubblicato anche su Mondo economico – https://mondoeconomico.eu/)