Twitter & c. – Una rete senza rete

Due fatti nei giorni scorsi hanno avuto per protagonista la rete, Internet e tutto quello che si muove attorno a quella rivoluzione delle comunicazioni che sempre più velocemente sta cambiando molti aspetti della nostra vita.
Il primo fatto è costituito dai vent’anni di Wikipedia; il secondo dalla decisione di Twitter di sospendere l’accesso all’uomo più potente del mondo, il presidente uscente degli Stati Uniti, Donald Trump.
Due fatti profondamente diversi. Il primo è la dimostrazione del lato virtuoso della rete, della possibilità di condividere le informazioni e di costruire un sistema di conoscenza di gran lunga più vasto delle enciclopedie tradizionali. A chi non è mai capitato, consultando un motore di ricerca, di consultare Wikipedia, così come da giovani studenti si andava alla biblioteca comunale e ad ogni domanda ci veniva proposta regolarmente la Treccani.
Il secondo invece costituisce l’esempio della degenerazione di un’informazione del tutto autoreferenziale, della possibilità di veicolare notizie false insieme a istigazioni alla violenza. Aprendo un problema altrettanto grande quanto difficile da risolvere: chi può e deve controllare una rete dove vi sono 2,8 miliardi di utenti di Facebook, dove ogni giorno vengono immessi quasi un miliardo di messaggi via Twitter e vengono visti 7 miliardi di video contenuti su Youtube. Gli utenti di Internet si avvicinano ormai ai cinque miliardi e le grandi società basate sulla rete (Google, Amazon, Facebook) così come quelle produttrici degli strumenti (Apple), costituiscono non solo un grande valore finanziario, ma detengono un grande, e difficilmente controllabile, potere politico.
L’esempio più evidente di questa realtà è emerso nei giorni scorsi dopo l’assalto al Parlamento americano chiaramente fomentato dal presidente Trump con la sua martellante ostinazione nel considerarsi vittima di una imponente truffa nelle elezioni che hanno sancito la vittoria del suo rivale Joe Biden. Proprio partendo da questi fatti la società che gestisce Twitter ha deciso di bloccare tutti nuovi messaggi di Trump dopo essere più volte intervenuta per oscurare singoli interventi palesemente falsi.
Ma a questo punto non poteva che nascere una domanda: può una società privata, come di fatto è Twitter, avere il potere di giudicare che cosa possa essere diffuso e che cosa no? Una domanda che ne sottointende un’altra: Twitter può essere considerato un mezzo di informazione? E allora nessuno discute sul fatto che un direttore di giornale possa anzi debba giudicare che cosa pubblicare e che cosa no. Oppure Twitter e gli altri social network come Facebook devono essere considerati solo delle piattaforme? E allora la responsabilità è solo di chi pubblica i singoli interventi, responsabilità sottomessa quindi alle normali procedure giudiziarie che normalmente non prevedono alcuna censura preventiva.
Come in (quasi) tutte le vicende umane non si possono dividere nettamente la ragione e il torto. Alcuni elementi di fondo meritano tuttavia di essere sottolineati. In primo luogo che la vastità, l’estensione e la penetrazione della rete ha creato una dimensione completamente nuova che il sistema giuridico non è ancora riuscito a comprendere. E questo anche perché sono ancora pochi e limitati gli ambiti di giustizia sovranazionale mentre è del tutto inesistente una giurisdizione globale come quella che sarebbe naturalmente richiesta per queste nuove realtà per loro natura globali.
La libertà di parola e di espressione è una grande conquista della civiltà occidentale, ma ogni libertà non può sconfinare nella calunnia, nell’incitazione alla violenza, nella diffamazione. Ma al di là degli aspetti giuridici non si può dimenticare il giudizio di Umberto Eco: “I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli” affermò dopo aver ricevuto all’Università di Torino la laurea honoris causa in “Comunicazione e Cultura dei media”. “Prima – ha detto Eco – parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli”. Per Eco il web è un vero e proprio “dramma” perché promuove “lo scemo del villaggio a detentore della verità”.
Un giudizio certamente drastico, ma efficace. E allora torniamo all’inizio. La rete del web non è solo lo sfogo di Trump, è anche Wikipedia, è anche uno straordinario sistema di conoscenza e di comunicazione. Ma ha bisogno di quell’elemento fondamentale che è l’educazione. La rete ha bisogno di persone che ne sfruttino le opportunità e che esaltino il vero, il bello, il buono, l’utile. Altrimenti vincerà la legge del più forte, del più furbo, del più spregiudicato. Trump appunto. Che per non ora non ha vinto. Ma i piccoli Trump possono ancora nascere, grazie alla rete. Anche in Italia.

  • habsb |

    egr. dr. Fabi

    stavolta non mi sento di seguirla nelle Sue affermazioni.

    l’assalto del Campidoglio fomentato da Trump con il suo martellante vittimismo ?

    la invito a considerare due altri esempi.
    1° Il risultato delle elezioni perse da Gore contro Bush è stato ugualemente messo in dubbio dal perdente; il comportamente di Gore fu in quel frangente del tutto analogo a quello di Trump. Ma in quel caso le azioni giudiziarie si protrassero a lungo, e il conteggio fu rifatto completamente. Nel caso di Trump invece nulla è stato fatto. E quindi comprensibile (e senza che a Trump possa imputarsi alcunché) che i più accesi fra i suoi sostenitori manifestino spontaneamente, e che cio’ possa derivare in una deprecabile giornata di violenza. Perché in questo caso la giustizia americana ha dato di sè la brutta immagine di punire chi come Trump si lamenta di aver subito un torto.

    2° il secondo esempio che Le propongo è quello dei disordini e violenze ben maggiori verificatisi in USA ad opera del movimento Black Lives Matter. Anche qui si potrebbe dire che certi politici le hanno causate con le loro martellanti campagne anti-bianchi. Ma stranamente, tali politici non sono stati colpiti da alcuna sanzione giudiziaria o mediatica.

    E veniamo a Twitter. Certo si tratta di una azienda privata, che fa quel che crede della propria piattaforma. In particolare cio’ che decide il suo CEO plurimiliardario, e perdipiu’ azionista al 2%: Jack Dorsey, noto finanziatore del partito democratico.
    Detto questo, i privati faranno come credono, niente da dire se Dorsey rifiuta a Trump l’accesso a Twitter. Trump potrà sempre creare un sito Internet dove esprimere tutte le sue idee.
    Spetta pero’ ai poteri pubblici garantire che i media non siano detenuti da un solo attore, e se Twitter non possiede concorrenti, allora si pone un problema di monopolio relativo al suo servizio, e di smembramento di questo monopolio

    Infine, il nostro glorioso Umberto Eco, che dice “ora [gli imbecilli] hanno lo stesso diritto di parola di un premio Nobel”
    Aver ricevuto un premio Nobel in una disciplina non qualifica particolarmente a parlare di argomenti lontani da tale disciplina. Ad esempio, non mi interessano molto le idee di Eco sull’alpinismo o sulla fisica quantistica. Allora che facciamo : obblighiamo per legge Eco a parlare sempre e solo di semiotica ?

    La libertà di parola, assoluta, è una componente fondamentale della nostra civiltà liberale, e la distingue da altre civiltà incompatibili come il neonazismo cinese.
    Quindi nessuna censura deve essere imposta da organismi pubblici, o finanziati da denaro pubblico.

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