C’è una grande bellezza anche nelle imprese

C’è una grande bellezza anche nelle imprese. Per descrivere il segreto del successo dell’industria italiana si fa spesso riferimento al paradosso del calabrone, quell’insetto con il corpo grosso e le ali piccole che, in teoria, secondo le leggi della fisica, non dovrebbe volare. Eppure vola.
E così i successi di un’industria italiana che sa essere fortemente competitiva verso il resto del mondo sarebbe inspiegabili secondo la logica e le teorie delle moderne scienze manageriali. Come può emergere un Paese povero di materie prime, con infrastrutture inadeguate, schiavo di una burocrazia borbonica e di una giustizia inaffidabile, senza un efficiente mercato dei capitali, con una politica segnata dall’instabilità e dall’incompetenza?
Potremmo dire: eppure vola. Se guardiamo alla crescita delle esportazioni, alle capacità di innovazione, alla forza della moda e del design, alle posizioni di assoluto rilievo conquistate in settori importanti come quelli degli occhiali, delle motociclette, dei mobili non può che venire la voglia di scoprire quali sono le logiche, se non i segreti, di questi risultati positivi.
Una risposta ampia e documentata viene dall’iniziativa di un professore appassionato cultore dell’economia aziendale, Vittorio Coda, docente emerito dell’Università Bocconi, e di un imprenditore illuminato e aperto a valorizzare la dimensione umana dell’impresa, Ali Reza Arabnia, Ceo di Gecofin e presidente dell’Isvi, l’Istituto per i valori d’impresa.


Una ricerca, un convegno e un libro (“Il segreto italiano, tutta la bellezza che c’è” a cura di Vittorio Coda, Ed. Treccani, pagg. 340, € 34) che costituiscono un percorso affascinante alla scoperta non solo e non tanto delle strategie manageriali o delle logiche operative razionali, quanto della realtà che costituisce la vera pietra angolare delle imprese di successo e cioè le persone.
Nel libro c’è un importante punto di riferimento: l’esperienza di Adriano Olivetti e della sua azienda diventata il simbolo dalla capacità di sviluppare l’impresa come comunità, non solo aperta, ma integrata nel territorio, un’impresa che si muove non solo per calcoli strumentali di convenienza economica, ma con la volontà di sviluppare un circolo virtuoso in una logica fortemente generativa. Proprio alla vicenda di Olivetti è dedicato uno degli otto saggi che compongono il volume, quello di Alessandro Zattoni (Luiss), membro del Comitato scientifico dell’Isvi, che descrive la storia di un’impresa divenuta il simbolo della possibilità di conciliare le esigenze del profitto e dell’innovazione con i valori della crescita sociale.
Si può poi giustamente scoprire che le radici dei successi italiani sono anche nella tradizione della cura artigianale nelle botteghe delle piccole e grandi città, così come nelle più antiche università del mondo e magari anche nelle più antiche banche, come furono i Monti di pietà creati dai frati francescani in pieno Medioevo. Su queste basi si innesta poi la capacità di leadership, il gusto della sfida, la ricerca di un miglioramento continuo e soprattutto quella volontà di valorizzare i rapporti umani in un lungimirante dinamismo imprenditoriale.
Forse è eccessivo parlare di un capitalismo all’italiana, perché comunque la realtà non è certo tutta rose e fiori, ma c’è in tutto il libro una reale presa di distanza da quel shareholder capitalism, il capitalismo fondato sul valore a beneficio degli azionisti, che ha contrassegnato le teorie della gestione manageriale negli Stati Uniti degli ultimi decenni del secolo scorso. Per scoprire come sia un vero fattore competitivo il senso di responsabilità etica nella gestione delle imprese. Ecco perchè c’è una grande bellezza anche nelle imprese