L’esempio Volkswagen per rilanciare l’Italia

Che cosa c’entra la Volkswagen, la grande casa automobilistica tedesca, con le possibilità dell’Italia di recuperare crescita economica e coesione sociale uscendo dalla pandemia?
Nei giorni scorsi ho dedicato una lezione del mio corso sulla comunicazione economica all’Università di Castellanza (www.liuc.it), alle strategie che le aziende devono attuare in caso di crisi. Una lezione a cui in parte ha partecipato, con grande apprezzamento degli studenti, anche Leopoldo Gasbarro, direttore del mensile Wall Street Italia.
Abbiamo parlato di molti casi avvenuti negli ultimi anni: dal naufragio della Costa Concordia al crollo del Ponte Morandi, dalla pubblicità di Dolce & Gabbana, offensiva verso i cinesi, alle ultime vicende legate alla pandemia e ai vaccini.
Casi complessi in cui la risposta delle aziende non è sempre stata lineare, ma da cui emerge sostanzialmente come una corretta comunicazione non può che essere sostenuta da due elementi fondamentali: ammettere i propri errori, magari anche chiedendo esplicitamente scusa, e intraprendere tutte le azioni necessarie per ristabilire il più alto grado di reputazione dell’azienda presso tutto il pubblico di riferimento.
In questa prospettiva uno dei casi più clamorosi di crisi che ha costituito un’opportunità per il rilancio è quello della Volkswagen, coinvolta cinque anni fa nello scandalo dei motori diesel con le emissioni truccate per rispettare solo formalmente i parametri antinquinamento di molti paesi, in particolare degli Stati Uniti. Una vicenda che non solo ha offuscato il nome di un’impresa che nel secolo scorso era conosciuta e apprezzata per un modello originale e innovativo come il Maggiolino, ma è costata miliardi di euro tra spese legali, risarcimenti, sanzioni e costi diretti e indiretti delle cause intentate da singoli clienti così come dai Paesi interessati.


Volkwagen non si è limitata a rimediare all’errore, ma ha cambiato drasticamente la propria strategia industriale con l’obiettivo di diventare in pochi anni il punto di riferimento mondiale per l’auto a emissioni zero. Una scelta di cui si sono già visti i frutti con il valore delle azioni che dopo il crollo nei mesi dello scandalo hanno poi progressivamente recuperato anche nell’ultimo anno quando il mercato automobilistico ha sofferto il calo della domanda a seguito della pandemia.
Volkswagen, che è il secondo produttore mondiale dopo Toyota, sta dedicando grandi investimenti non solo nello sviluppo dell’auto elettrica, ma anche in quei supporti di assistenza che potranno portare alla realizzazione in tempi non lunghissimi delle vetture a guida autonoma.
Le parole d’ordine sono strategia, tecnologia, innovazione, visione, nella convinzione che l’auto non sia per nulla un prodotto maturo, ma abbia ancora grandi spazi di sviluppo qualitativo, uno sviluppo peraltro in cui l’immagine e la reputazione sono fondamentali tanto quanto la qualità del prodotto.
Quello della VW è quindi un esempio costruttivo di come una crisi possa diventare un’opportunità. Un esempio anche per l’Italia dove la crisi profonda di una politica inconcludente e velleitaria ha aperto la strada ad un governo tecnico-politico guidato da una personalità come Mario Draghi che ha fatto del pragmatismo la propria linea di condotta. Riscoprendo parole come l’efficienza, la concretezza e la competenza. E uscendo dalle nebbie di una politica che ha supinamente dato spazio all’anti-politica come ha dimostrato il referendum sulla riduzione dei parlamentari e che non è riuscita (come ha sottolineato il premier nella sua prima conferenza stampa) a mettere in piedi un piano di sviluppo della sanità in un anno in cui la salute è stata, purtroppo in molti casi solo a parole, al primo posto.
Allora c’è da prendere esempio dalla Volkswagen. Sfruttare l’occasione di aver toccato il punto più basso per mettere a frutto quelle grandi doti di creatività, adattamento e buona volontà di cui gli italiani sono ampiamente dotati.