Una crescita all’italiana, bella e possibile

Felicità L’economia italiana ha ancora grandi potenzialità di crescita. La storia degli ultimi anni dimostra molto bene come sia stato e possa essere un fattore vincente il dinamismo imprenditoriale unito alla competenza tecnica, al gusto del bello, alla passione per la qualità. Nei giorni in cui si celebrano i cent’anni della Confindustria non si può non ricordare come sia proprio la solida e diffusa base manifatturiera a costituire la spina dorsale di un paese che ha saputo costruire un proprio originale e positivo modello di sviluppo.

E’ allora significativo che questa particolare dimensione italiana costituita dalle piccole e medie imprese, dai distretti produttivi, dalle reti territoriali sia valutata in maniera positiva anche da chi vuol sottolineare la necessità di concentrarsi più sulla qualità che sulla quantità del sistema economico.

C’è infatti un filone di pensiero, non solo legittimo, ma in qualche modo anche profetico, che sottolinea l’esigenza di tenere strettamente collegati gli indici della crescita con quelli del benessere, della soddisfazione, in fondo della felicità. Appartiene a questa prospettiva Stefano Bartolini, docente di economia politica a Siena, che nel libro “Manifesto per la felicità” sottolinea l’esigenza non solo e non tanto, come fanno i cantori della decrescita, l’esigenza di ridurre l’impatto delle attività umane sull’ambiente, ma anche l’opportunità di valorizzare anche concettualmente la ricchezza dei beni pubblici e le opportunità di relazione.

Il tallone d’Achille della decrescita è costituito dal fatto che lo sviluppo, con la ricerca scientifica e tecnologica collegate, può essere se ben guidato più una soluzione che un problema. Mentre l’economia di relazione può diventare un fattore decisivo per far diventare fattori determinanti la soddisfazione personale e la coesione sociale. E’ allora significativo notare, come fa Bartolini, che “l’economia sociale ha trovato proprio in Italia alcune delle sue più innovative declinazioni moderne”. Uno sviluppo che parte dal basso, che valorizza i saperi preesistenti, che lascia spazio all’iniziativa e all’operosità, che vede nel “mettersi in proprio” un valore di creatività.

La socialità diviene così un fattore decisivo con le imprese che sanno essere specializzate e flessibili pur salvaguardando, anzi ponendo al centro, il valore della persona e delle sue relazioni. E conquistando grazie alla professionalità e alla passione, in tutte le posizioni aziendali, posizioni di competitività a livello internazionale.

Il problema di fondo resta quello di affiancare a questa crescita quasi spontanea, ma profondamente attenta ai valori personali e sociali, una politica economica che ponga in primo piano l’attenzione alla qualità dello sviluppo. E qui si va dal sostegno alla ricerca alla formazione, dalla vivibilità delle città agli investimenti nella scuola e nella cultura. Magari disboscando quei costi della politica che peraltro rendono gli incarichi pubblici soprattutto un privilegio da difendere.

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Stefano Bartolini, “Manifesto per la felicità”, Ed. Donzelli, pag. 300, € 18

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Pubblicato il 27 maggio sul Sole 24 Ore