La sfida di una diritto leggero, ma efficace

Governance La democrazia, l’elementi centrale e distintivo della società moderna, non vive certo uno dei suoi momenti migliori. La crisi prima finanziaria e poi economica degli ultimi tre anni sta mettendo drammaticamente in risalto come due aspetti fondamentali rischiano di essere gravemente in difficoltà. Da una parte la sovrastruttura giuridica delle regole: come ha sottolineato Mario Draghi, “la radice della crisi che investe il mondo da quasi tre anni sta in carenze regolamentari e di vigilanza nelle piazze finanziarie più importanti.“ Dall’altra parte quel consenso che è un elemento vitale della legittimazione di ogni potere che voglia essere realmente democratico.

I due elementi peraltro sono strettamente intrecciati. Nella visione classica della teoria politica, come già teorizzato da Thomas Hobbes a metà del Seicento, il compito essenziale del sovrano è quello di fare le leggi e di comandarne l’osservanza. Ed è proprio con il passaggio dalla visione assolutista e quella progressivamente democratica che la sovranità, come annunciato dalla nostra Costituzione, viene consegnata totalmente “al popolo” attraverso le diverse forme di rappresentanza.

Ma c’è una domanda. Quale può essere ora il passaggio successivo di fronte ad una crisi che dimostra la difficoltà sia di varare regole nello stesso tempo efficienti e condivise, sia da far trovare il consenso necessario per i provvedimenti di politica economica.

E’ significativo che negli ultimi anni si sia progressivamente affermato, anche nel linguaggio politico e non solo in quello strettamente aziendale, il termine di “governance” per distinguere un’organizzazione basata più sulle funzioni e sulle competenze riconosciute che non su di una organizzazione gerarchicamente e rigidamente definita. In contrapposizione quindi con il più tradizionale più tradizionale “government” inteso quale istituzione, apparato e organizzazione.

In questa prospettiva va vista non tanto la soluzione, quanto un modo di risposta al nodo di fondo di questi anni: l’esigenza di regole globali in assenza di una legittima autorità globale. Il passaggio è quello della “soft law”, cioè “una forma di diritto che implica alcuni obblighi o impegni, ma non li accompagna con sanzioni e che, nonostante questo o forse proprio per questo, mira al raggiungimento di effetti pratici”. Lo afferma Maria Rosaria Ferrarese, docente di filosofia del diritto, in un libro in cui si analizza in maniera certo un po’ ambiziosa la possibilità, in certi casi la necessità, di superare il concetto di diritto come “struttura”, cioè come coerente articolazione di norme in senso unitario, guardando invece ad esso prevalentemente come “funzione”, ossia come capacità di assicurare determinate prestazioni.

Con la prospettiva e l’auspicio di passare da una struttura di regole in eccesso dove tutto quello che non è permesso è vietato, a una governance il più possibile condivisa in cui le regole sono accettate perché non sono dei limiti, ma aiutano la libertà e l’iniziativa dei singoli e delle componenti della società.

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Maria Rosaria Ferrarese, “La governance tra politica e diritto”, Ed. Il Mulino, pagg. 220, € 18

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Pubblicato sul Sole 24 ore del 3 giugno