C’è qualcosa di concreto nella speranza che il Sistema Italia possa riuscire a superare limitando i danni l’onda lunga della crisi globale. Anche perché esperti ed economisti (giornalisti compresi) devono mettersi un po’ di cenere sul capo spostando tra gli elementi positivi molti tra i fattori che erano stati per tanto tempo considerati come indicatori di rischio o di arretratezza. Si è parlato così molto delle banche, che si trovano meno esposte ai titoli tossici perché più arretrate sul fronte dell’internazionalizzazione. E così delle piccole e medie imprese, più legate ad un tradizionale capitalismo familiare e meno attirate dalle sirene delle leve finanziarie. E nel complesso di un’economia in cui, come giustamente ama sottolineare Giulio Tremonti, c’è sicuramente un altissimo debito pubblico, ma a fianco del quale non c’è un debito privato ed anzi le famiglie continuano ad essere orientate fortemente al risparmio.
Questi elementi possono essere dei punti di forza se ad essi si affiancano due fattori essenziali: da una parte uno Stato capace di accompagnare la crescita liberando vincoli e favorendo la competitività, dall’altra la volontà da parte delle imprese di seguire con coraggio la strada dell’innovazione e delle ristrutturazioni. Le basi ci sono tutte soprattutto in particolare guardando all’area forte dell’economia: quella fascia pedemontana che va dal Piemonte a Trieste in cui, come sottolinea Daniele Marini nelle ricerche della Fondazione Nord Est sui percorsi di sviluppo delle imprese di successo (“Fuori dalla media”), si può parlare di “società laburista, dove il lavoro ha (ancora oggi) una dimensione culturale centrale nella vita, nei destini e negli orientamenti degli individui”.
Si riscopre così la centralità del lavoro al di là e al di sopra delle tradizionali connotazioni ideologiche. E’ il lavoro come valore che accomuna i dipendenti con gli autonomi, gli imprenditori con gli artigiani. E’ un lavoro che si trasforma verso “professionalità sempre più elevate”, anche se si scontra sempre più con uno scenario in cui fanno difficoltà ad emergere i necessari adeguamenti delle struttura amministrativa e della normativa burocratica. E’ un lavoro che punta sulla risorsa umana superando i modelli rigidi, gli schemi preconfezionati, le soluzioni prefabbricate dei manuali di management.
Senza dimenticare che questa crisi trova le imprese italiane già messe alla prova e che hanno, almeno in gran parte, superato la selezione determinata dalla sfida della competitività internazionale. Con alcune particolarità che possono diventare in questa fase nuove basi di partenza: come la spinta alla modernità, la flessibilità gestionale, il passaggio dalla logica dei distretti a quella delle reti d’impresa. E con una forte affermazione dell’identità industriale: nella convinzione che il manifatturiero non solo ha dalla sua una grande tradizione, ma può trovare nella materialità e nella concretezza del produrre nuovi forti stimoli di innovazione e quindi di crescita.
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“Fuori dalla media” a cura di Daniele Marini, Ed. Marsilio, pagg. 340, € 23
Pubblicato sul Sole 24 Ore il 26 marzo 2008