La teoria economica e l'esperienza storica spiegano che il declino di un Paese è quasi sempre dovuto al mancato adeguamento ai cambiamenti di scenario, al mutare delle tecnologie, all'evoluzione dei mercati. È dovuto in pratica alla mancanza di volontà di rinnovamento di fronte alla dinamica della società. Le ricadute economiche sono l'effetto finale (quando entra in gioco la teoria dei vantaggi comparati di David Ricardo), ma la cause di base vanno quasi sempre ricercate nei meccanismi sociali e istituzionali.
Guardando all'Italia, prima che di declino economico (peraltro per nulla scontato e anzi per ora soprattutto congiunturale) è probabilmente più realistico parlare di decadenza sociale, di abbandono dei valori condivisi, di affievolirsi del senso di legalità e di appartenenza: tutti fattori in qualche modo legati, paradossalmente, alla progressiva egemonia del "politicamente corretto".
La tesi è di Michele Brambilla nel suo libro Coraggio, il meglio è passato: un vigoroso e coraggioso atto di accusa verso una società conformista e appiattita che sembra aver rinunciato ai valori tradizionali senza assumerne di nuovi, e anzi navigando alla giornata senza una rotta precisa.
Non è un caso che si parta dai giovani e dalla famiglia. Perché l'Italia ha uno dei tassi di natalità più bassi del mondo, perché i matrimoni sono in calo mentre crescono i divorzi e le unioni di fatto, perché il disagio giovanile è sempre più diffuso così come cresce la disoccupazione e la difficoltà di trovare un lavoro stabile e sicuro. E così «in Italia i ragazzi di età compresa tra i diciotto e i trentaquattro anni che stanno ancora in famiglia sono il 59%, nel resto d'Europa il 29». Una differenza abissale. E negli ultimi dieci anni la famiglia stabile è diventata una dimensione di minoranza: nell'ultimo decennio le separazioni sono aumentate dal 57,3% e i divorzi del 74. La politica conosce il problema e infatti c'è addirittura un ministero per le "politiche per la famiglia": «Si istituisce qualcosa ad hoc – commenta Brambilla – quando c'è la consapevolezza di un'emergenza».
Nel declino dei valori e dei punti di riferimento si rischia tuttavia di fare di ogni erba un fascio, di accomunare in un unico giudizio critico anche i molti aspetti che rendono l'Italia un Paese in cui vale ancora la pena vivere e lavorare. Valori come quelli dell'imprenditorialità, della passione sociale, della creatività costituiscono altrettanti capisaldi positivi che confermano la tradizione di una civiltà che ha saputo compiere grandi opere in tutti i settori. È anche per questo che stridono ancora di più difetti così diffusi come la banalità quotidiana, la piccola maleducazione, l'oltraggio al buon senso e alla correttezza, la mancanza di rispetto gli uni per gli altri.
Con un'Italia tuttavia, che anche di fronte a una crisi economica così grave e profonda come l'attuale riesce paradossalmente a trarre vantaggio anche dai propri difetti: basti pensare alla pigrizia delle banche che grazie alla loro scarsa conoscenza dell'inglese non sono riuscite a riempire i loro depositi con quei titoli tossici che hanno invece invaso gli istituti di credito di ben più alto lignaggio.