Gli affari sono affari

Affari Sono stati molti gli effetti collaterali della grande crisi degli anni 30: una più forte presenza dello Stato nell'economia, ma anche il consolidamento delle grandi corporation insieme a una diffusa sfiducia verso le Borse valori e i mercati finanziari. In secondo piano è rimasto il fatto che le difficoltà delle imprese fecero rapidamente decadere il tema della responsabilità sociale su cui si era iniziato a dibattere solo da pochi anni.
Prima della crisi, negli anni 20, alcune riviste americane di management avevano posto il problema se i dirigenti d'azienda dovessero curare solo gli interessi degli azionisti o allargare il loro impegno anche agli altri interlocutori dell'impresa e cioè i dipendenti, i fornitori, gli abitanti del territorio e, perché no, anche i clienti.
Dopo le nebbie del '29, la Csr, acronimo dell'inglese Corporate social responsability, è tornata alla ribalta solo nel dopoguerra. È del 1953 infatti il libro di Howard Bowen, considerato ora il padre della responsabilità sociale delle imprese: nel suo lavoro si analizzano gli effetti, positivi o negativi, dei diversi modelli di gestione aziendale sull'esterno, dall'ambiente all'inquinamento, dalla disoccupazione all'istruzione.



Sono gli anni nei quali le grandi corporation cominciano ad avere una filosofia elaborata e in cui cresce di pari passo la consapevolezza del loro potere politico ed economico. Ecco quindi l'opportunità di aprirsi al sociale, d'investire in case per gli operai e in fondazioni di beneficenza, un'opportunità che viene colta anche per mantenere buoni e costruttivi rapporti con il potere politico da una parte, i sindacati dall'altra e in fondo per innalzare la propria immagine. Il cerchio così si chiude, teorizzando come il modo migliore per ottenere buoni profitti sia fare in modo che l'azienda non pensi solo al profitto.
La prima grande crisi di questo millennio rischia ora di riproporre, in questa prospettiva, lo scenario degli anni 30. Le imprese devono sfruttare al massimo le strategie per sopravvivere, concentrando gli sforzi sulla salvaguardia diretta delle opportunità di profitto. E per la Csr si prospettano tempi complessi e difficili. Non è un caso che, dopo un fiume di saggi d'elogio, inizi a comparire qualche invito al realismo e alla critica costruttiva. È il caso del libro di David Henderson, una lunga esperienza a capo del Dipartimento economico dell'Ocse, che mette in luce l'esigenza di tornare all'essenza della libertà di mercato e d'impresa mettendo in guardia dall'adesione "ingenua e acritica" ai richiami dell'impegno sociale.
L'impresa può rilanciarsi se riscopre il senso immediato degli affari in un mercato libero e competitivo. Ricreando nei fatti, più che nelle strategie, la propria responsabilità sociale. Nella convinzione che «il valore della libertà economica non consiste solo nel suo contributo al benessere materiale», ma è soprattutto quello di «arricchire le relazioni umane e permettere il raggiungimento delle aspirazioni individuali e di gruppo».

David Henderson, "Gli  affari sono affari", Rubettino/Leonardo Facco, pagg. 172, € 10

Pubblicato sul Sole 24 Ore del 5 febbraioo 2009

  • giorgia |

    Sono completamente d’accordo che l’obbiettivo delle aziende del raggiungimento di profitti non deve essere disgiunto dalle finalità di sviluppo e benessere sociale dei dipendenti delle stesse aziende.In tal modo si sviluppa la possibilità di un ciclo virtuoso di progresso di crescita e giustizia sociale.

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