Diceva Woody Allen: “Il 90 per cento delle statistiche è inventato”, ma si affrettava ad aggiungere: “Anche questa”. In effetti il regno dei numeri è popolato di giudizi sommari, di luoghi comuni, di interpretazioni strumentali, spesso palesemente false.
Questi mesi di pandemia hanno peraltro complicato ancora di più le cose. L’andamento dei contagi, dei ricoveri, dei vaccini comunicato giorno per giorno si è trasformato spesso in giudizi e prese di posizione che hanno giustificato, talvolta partendo dalle stesse basi, da una parte allarmismi e dall’altra sensazioni di scampato pericolo.
Le statistiche sono tuttavia fondamentali per conoscere e analizzare i fenomeni economici e sociali e per valutare effetti e conseguenze delle scelte personali o politiche. Ma partendo dalla convinzione che i numeri sono una rappresentazione di una realtà che è sempre più complessa di come può essere descritta solo da grafici e tabelle.
E soprattutto tenendo conto del fatto che le decisioni che ognuno di noi mette in atto vengono prese sulla base di quelle che un grande economista come John Maynard Keynes chiamava “conoscenze incerte”. Perchè noi abbiamo, di regola, soltanto l’idea più vaga delle conseguenze non immediate dei nostri atti. In altre parole, le statistiche non possono che riguardare il passato e quindi la nostra conoscenza del futuro non può che essere fluttuante, vaga e incerta. Ed è per questo, sosteneva Keynes, possiamo compiere e compiamo scelte apparentemente “irrazionali”.
Questo è ancora più vero ora che numeri e statistiche sono diventati, grazie alla rivoluzione dell’informatica e delle comunicazioni, sempre più un compagno di viaggio nella nostra conoscenza della realtà. L’enorme quantità di dati che può essere accumulata e gestita attraverso le grandi memorie e i più sofisticati processi costituisce insieme una grande risorsa e un evidente pericolo. Una risorsa perché le decisioni non solo personali, ma anche politiche e sociali, possono basarsi su vaste osservazioni empiriche di quanto avvenuto in un passato vicino o lontano. Un pericolo non solo perché può essere violata la riservatezza dei dati personali, ma anche per i rischi di manipolazione e di utilizzo per interessi particolari.
Problemi su cui interviene quella che è stata chiamata l’etica dei dati ed è significativo che proprio questo sia stato l’argomento conclusivo delle giornate svizzere della statistica che si sono tenute a Lugano.
L’etica dei dati sta soprattutto a ricordare che dietro ad ogni numero, ad ogni statistica, ad ogni valutazione numerica ci sono delle persone con la loro identità, i loro valori, i loro diritti. E che quindi è necessaria la massima responsabilità da parte di chi raccoglie, gestisce e comunica le informazioni così come la massima attenzione da parte di chi si forma un’opinione o prende delle decisioni sulla base di queste.
Il rischio che abbiamo di fronte è quello di diventare schiavi degli algoritmi e dell’intelligenza artificiale. Di quelle sofisticate procedure matematiche che possono decidere senza guardarci negli occhi se possiamo ottenere un prestito da una banca o quali medicine sono necessarie dopo un esame del sangue.
Per questo è utile ricordarsi sempre dell’etica e della dimensione umana. Perché le statistiche possono indicare il come e il quanto. Ma spetta ad ogni persona capire e spiegare il perché.