Infosfera, educazione al primo posto

Nel tempo dell’infosfera al primo posto va collocato il tema dell’educazione. Perchè l’infosfera, il nuovo scenario della rivoluzione informatica basata sull’informazione, mette tutti di fronte a nuove opportunità e a nuovi importanti rischi.
Ci sono alcune parole che sono diventate di moda in questo particolare momento di evoluzione sociale, un momento caratterizzato da due elementi, il primo (ci auguriamo) di breve, il secondo di lungo termine. Nel breve termine abbiamo una pandemia che ha sconvolto la nostra vita quotidiana e ha scosso l’economia. Nel lungo termine abbiamo la rivoluzione digitale e la lotta ai cambiamenti climatici che costituiscono profonde linee di frattura rispetto allo scenario del secolo scorso.

E allora ci capita sempre più spesso di imbatterci nelle nuove parole d’ordine che cercano di spiegare quello che sta avvenendo. Al primo posto abbiamo il “cambiamento”, il continuo rinnovarsi di procedure e possibilità operative. Poi c’è la “sostenibilità” insieme come spinta e misura dei nuovi equilibri necessari sul fronte dell’ambiente e della convivenza. E infine, anche se l’elenco potrebbe essere molto lungo, abbiamo la “resilienza”, la capacità di adattarsi alle circostanze mantenendo un atteggiamento costruttivo e positivo.

Ma non sono solo parole di moda, parole da usare per dare un tocco di modernità alle analisi socio-economiche. Sono parole importanti soprattutto perché vanno utilizzate insieme e allora il cammino deve affrontare percorsi in zone inesplorate, con obiettivi e strumenti che non appartengono all’esperienza o alla tradizione. Merita allora mettersi in tasca una guida, come il libro di Franco Amicucci, sociologo e grande esperto di formazione aziendale, “Apprendere nell’infosfera, esperenzialità e nuove frontiere della conoscenza”, (Ed. Franco Angeli, pagg. 220, € 26), un libro che è la dettagliata cronaca di un viaggio nel nuovo scenario in cui ci troviamo dopo il primo ventennio del nuovo secolo.

“L’emergenza sanitaria – spiega per esempio Amicucci – ha catapultato tutte le scuole, le università e il mondo del lavoro nella DaD, la Didattica a Distanza. Il grande impegno ha permesso di affrontare la crisi e di mantenere vive le reti sociali, ma anche di recuperare ritardi e sperimentare potenzialità a molti sconosciute: stanno emergendo punti di forza e di debolezza”.

Ora è il momento in cui la scuola, come protagonista dell’infosfera, cerca di recuperare i tradizionali insegnamenti in presenza e in cui nella pubblica amministrazione e nelle aziende lo smart working viene progressivamente considerato un’eccezione da utilizzare solo in casi particolari. Ma sarebbe sbagliato e limitante pensare di tornare semplicemente ai modelli precedenti. La didattica non può non tener conto delle nuove opportunità. E comunque in questo come in altri campi la rivoluzione digitale non può voler dire fare in maniera nuova le stesse cose di prima.

“Il lavoro – dice ancora Amicucci – sta cambiando tutte le sue forme, dai processi organizzativi, alle culture, alle relazioni interne. Le competenze tradizionali non sono più sufficienti per reggere l’impatto dei radicali cambiamenti in atto. Re-skilling è la parola del momento, ma è vissuta come se il cambiamento fosse un incidente di percorso, per poi tornare a una nuova normalità, quella a cui eravamo abituati ma con qualche aggiustamento”.

E’ necessario così rendersi conto che ci sono tante novità rispetto al passato. E che l’innovazione non è più semplicemente un salto di qualità, ma è ormai un processo continuo, un fiume che scorre e che proprio per questo richiede non solo una conoscenza distaccata, ma una capacità costruttiva di adattamento: la resilienza appunto.

Per questo è fondamentale l’apprendimento così come è fondamentale la dimensione della formazione continua che non può che diventare parte integrante della gestione delle risorse umane.

  • habsb |

    Bisognerebbe rispondere al dr. Amicucci che l’innovazione e l’apprendimento continui sono sempre stati una costante dell’economia industriale, da Watt a Bezos, e che semmai l’eccezione è data (in Italia) dagli ultimi decenni, quando la sottomissione ai partiti di un’economia drogata dall’indebitamento ha prodotto vere e proprie rendite di posizione che non necessitano più alcuna innovazione.
    Quindi si’ all’apprendimento continuo, che non è nient’altro che quello che si è sempre fatto prima dell’abitudine recente di campare di rendita stampando cartamoneta.

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