Ci sarà da ricostruire, ripartendo dall’impresa e dalla fabbrica. La guerra contro il coronavirus costerà all’Italia una crisi molto profonda del proprio sistema produttivo. Con effetti immediati nel turismo, nel commercio, nei trasporti, ma con inevitabili riflessi sull’intero sistema economico.
E non ci si può illudere che la ripresa potrà essere spontanea. Una volta superata l’emergenza, e purtroppo non si prevedono tempi brevi, sarà necessario riavviare quella che viene chiamata “catena del valore”, ricostruire la fiducia, ritornare a investire sul futuro.
L’Italia ha molte carte da giocare nel nuovo scenario che si verrà a creare. Uno scenario in cui sarà probabilmente rimesso in questione il vecchio modello della globalizzazione, un modello che dava alla Cina un posto di primo piano tanto che era stata addirittura chiamata “la fabbrica del mondo”.
Ma questo modello stava già mostrando la corda e non solo per la battaglia intrapresa da Donald Trump per rimettere in equilibrio la bilancia commerciale tra Pechino e Washington. C’è stato negli ultimi anni un forte rallentamento degli investimenti all’estero, così come c’è stato un avvicinamento tra i costi del lavoro nei paesi occidentali e quelli del paesi cosiddetti emergenti.
La stessa Cina ha gradualmente cambiato la rotta della sua politica economica, una politica che a cavallo del secolo era fortemente indirizzata verso le esportazioni e che negli ultimi anni ha invece puntato molto sulla crescita interna e quindi anche sul benessere dei propri cittadini.
In questo scenario l’Italia potrà avere significative opportunità. Soprattutto se saprà far tesoro di un’esperienza che ha lasciato il segno nella dimensione industriale del paese, l’esperienza di Sergio Marchionne alla guida della Fiat.
Il perché lo spiega il libro di Marco Bentivogli, segretario generale della Cisl, e Diodato Pirone, giornalista del Messaggero, “Fabbrica Futuro” ( Ed. Egea, pagg. 236, € 22) http://www.egeaeditore.it/ITA/Autori/bentivogli-marco.aspx, un libro in cui non solo si approfondiscono i punti forti del rilancio dell’azienda automobilistica, ma si mette soprattutto in luce come le fabbriche possano tornare al centro di una seria strategia di sviluppo. “Oggi – si afferma nell’introduzione – sono proprio le fabbriche a parlarci di futuro. Ancor più che in passato. Gli stabilimenti rappresentano il crocevia della grande trasformazione del lavoro e delle produzioni perché sono una frontiera tecnologica, un aggregatore di conoscenze e una molla della vitalità del paese.”
Perché quella di Marchionne è stata una vera e propria rivoluzione. Trasformando una fabbrica, come quella Alfasud di Pomigliano d’Arco, che era considerata il simbolo dell’inefficienza delle partecipazioni statali, in uno stabilimento non solo con l’automazione più avanzata, ma anche e forse soprattutto, in cui c’è soddisfazione e partecipazione degli operai ad un lavoro che sentono come proprio.
E infatti – si legge nel libro – “grazie allo spessore di Marchionne e al coraggio di una parte dei sindacato e dei lavoratori si sono sgretolati i due falsi miti per cui per salvaguardare la manifattura in un’economia matura è inevitabile ridurre i salari e deteriorare le condizioni di lavoro. C’è ancora molto da fare, ma la realtà riscontrabile nelle fabbriche italiane di Fca prova il contrario.”
L’Italia delle fabbriche non è così una realtà che va superata, ma può essere ancora il punto di forza dell’economia reale. Un elemento di cui abbiamo, soprattutto in un momento come questo, un grande bisogno