La sfida è altrettanto ambiziosa quanto indispensabile: rispondere, in un’ottica di società aperta, ai grandi cambiamenti di questo millennio riscoprendo nello stesso tempo la dignità del lavoro e la dimensione più vera della democrazia.
Negli ultimi vent’anni, segnati peraltro da una crisi economica particolarmente grave, si sono infatti sovrapposti almeno tre elementi rivoluzionari i cui effetti sono ancora in gran parte nascosti. Parliamo della globalizzazione, della rivoluzione tecnologica e della crisi delle democrazie liberali con la crescente influenza di quel misto ideologico-culturale che va sotto il nome di sovranismo da una parte e populismo dall’altra.
Si tratta di tre fenomeni solo apparentemente diversi, ma in realtà profondamente intrecciati soprattutto perché i primi due hanno creato quel sottofondo di disagio, di protesta e di paura su cui i movimenti populisti hanno, almeno finora, costruito le loro fortune. Il tutto accentuato dal fatto che quella che potremmo chiamare la narrazione corrente tende inevitabilmente a privilegiare gli aspetti problematici o addirittura negativi, rispetto alle opportunità e ai vantaggi che il nuovo mondo può determinare. E così l’aspetto dei cambiamenti nel mondo del lavoro ha il sopravvento sul fatto che le macchine fanno ormai i lavori più gravosi, ripetitivi e pericolosi. E allo stesso modo la perdita di posti di lavoro a causa dell’innovazione viene enfatizzata dimenticando che i due paesi dove minore è la disoccupazione sono Stati Uniti e Corea del Sud, guarda caso proprio i due paesi in cui è più avanzata la rivoluzione tecnologica.
E’ in questa prospettiva che l’avanzata di sovranisti e populisti invece che essere una soluzione è un problema in più perché, oltre a non offrire prospettive costruttive sul piano economico, mina alla base quella dimensione della rappresentanza che sarebbe fondamentale per sostenere la dignità della persona e del lavoro.
Il perché lo spiegano con chiarezza Giulio Giorello e Giuseppe Sabella in un libro (“Società aperta e lavoro”, Ed. Cantagalli, pagg. 73, € 12 –https://www.edizionicantagalli.com/shop/societa-aperta-e-lavoro/ ) proprio partendo dalle rivoluzioni degli ultimi decenni che hanno creato un terreno fertile per un grande cambiamento nei paradigmi del consenso politico. Come scrivono Giorello e Sabella “il fascino sovranista è forte, perché esso in modo chiaro e perentorio, meglio di quanto abbiano fatto le vecchie élite, si propone di ristabilire un primato della politica per governare la globalizzazione, processo che le classi dirigenti hanno subìto accettando scambi senza reciprocità e ignorando quelle fratture sociali che si sono create. La crisi del 2008 è l’esito di questa incapacità: ciò che la grande contrazione ci ha consegnato è, soprattutto, una forte precarietà del lavoro, che significa precarietà della vita”.
Il compito dello Stato e dei corpi intermedi appare a questo punto indispensabile per ridare spazi di manovra alla dignità delle persone. In un’ottica che non sia semplicemente assistenziale e suppletiva, ma sia in grado di valorizzare in una dimensione di sussidiarietà tutte le espressioni sociali. Il richiamo a Popper, uno dei cavalli di battagli di Giorello, appare molto significativo: “Popper esamina la nozione di sovranità e ne mostra l’ambiguità perché ogni sovranità porta dentro di sé i germi della propria dissoluzione”.
E’ quindi il momento di resistere, di non rinunciare, di mantenere la fiducia non solo nei meccanismi istituzionali, ma anche e soprattutto nella capacità delle persone di non arrendersi alle sirene delle soluzioni autoritarie e illiberali. Riportare l’attenzione sul lavoro come partecipazione creativa e sulla società come dimensione di responsabilità collettiva può essere l’indicazione di un cammino. Perche sé vero, come dicono Giorello e Sabella che “la quarta rivoluzione industriale può essere occasione di riscoperta di una piena umanità alla luce del lavoro”, è altrettanto vero che sarà necessaria una nuova alleanza tra imprese e lavoratori completando quel superamento di una lotta di classe che ha avuto negli ultimi anni una prospettiva nuova e inquietante, quella di una politica impegnata a mettere, nei fatti se non nelle parole, i bastoni tra le ruote alle imprese.