Sostenibile, responsabile, inclusivo: queste tre parole hanno fatto da filo conduttore al Salone del risparmio che si è svolto all’inizio di aprile a Milano. Parole significative soprattutto se utilizzate per dare le linee guida di un evento dove la materia prima e l’argomento centrale è e doveva essere solo e unicamente il denaro. Un denaro da proteggere, da valorizzare, da mettere in circolazione. Un denaro attorno a cui si affannano banche e società finanziarie dai nomi altrettanto complessi quanto simbolicamente altisonanti.
Eppure proprio in questo mondo dell’ingegneria finanziaria la sigla che è più spesso risuonata è stata ESG che sta per “Environmental, Social and Governance” e indica tutte quelle attività legate all’investimento responsabile, etico, rispettoso dei diritti umani e dell’equilibrio ambientale.
Nella stessa prospettiva, pur su dimensioni strettamente culturali, si era svolto nel fine settimana precedente a Firenze la prima edizione del Festival dell’economia civile, una tre giorni di riflessione sulla possibilità di superare la tradizionale e classica visione dell’economia basata unicamente sulla produzione e sullo scambio. Con l’obiettivo, sicuramente ambizioso, di rimettere la persona al centro dell’interesse economico.
Proprio a questo progetto è dedicato un libro di quelli che possiamo considerare i tre profeti di questa visione: Leonardo Becchetti, Luigi Bruni, Stefano Zamagni. Si tratta di “Economia civile e sviluppo sostenibile” (edizioni Ecra, pag. 110, € 18). La casa editrice del Credito cooperativo offre così una sintesi ragionata e documentata di come non solo sia possibile, ma sia anche utile e proficuo approfondire e praticare questa strada. “L’economia civile – afferma infatti Sergio Gatti, direttore generale di Federcasse, nell’introduzione – sceglie comportamenti virtuosi nell’interesse sia della comunità che della singola impresa e degli individui. I vantaggi ambientali, sociali, economici e relazionali che ne derivano, e che andranno sempre meglio misurati, si rifletteranno sulla reputazione dell’azienda, sulla sua capacità di coinvolgere i propri collaboratori, di mobilitare abilità ed entusiasmi. Ma soprattutto incideranno positivamente anche sulla sua competitività, sulla sua redditività e sulla sua solidità economica.”
Ecco perché l’industria del denaro ha scoperto e rilanciato la sostenibilità: perché conviene, perché evita di cadere nelle speculazioni fini a loro stesse, perché consolida quel fattore fondamentale di un sistema economico che voglia crescere: la fiducia. Ecco perché sta ritornando interesse anche per le forme societarie, come le cooperative o le imprese sociali, che non hanno il profitto, pur indispensabile indicatore dell’efficienza aziendale, come obiettivo principale.
La sostenibilità quindi sta diventando, fortunatamente, il paradigma centrale di una nuova economia. C’è indubbiamente il rischio di un approccio unicamente utilitaristico, ma è un rischio che vale la pena di correre anche se deve sollecitare attenzione e capacità critica.