finanziamento. Il sistema pensionistico, definito anche Ago (Assicurazione generale obbligatoria), è sempre stato e rimane un sistema “a ripartizione” per cui i contributi versati dai lavoratori vengono direttamente utilizzati per finanziare il pagamento delle pensioni. Il sistema “a capitalizzazione”, dove i contributi rimangono nella titolarità di chi li versa e servono poi a maturare una rendita individuale, vale invece per la previdenza complementare, in pratica per i fondi pensione.
Sul Sole 24 Ore di oggi (14 gennaio 2013) ho risposto alla seguente lettera:
Si fa un gran parlare della necessità di nuovi interventi sulle pensioni per le crescenti difficoltà in cui si trova l’Inps. Eppure l’ultima riforma ha appena compiuto due anni. Uno dei punti centrali è stato l’introduzione del metodo contributivo per tutti ma, ho scoperto, solo a partire dal gennaio 2012 e peraltro questo metodo era già previsto nella riforma Dini per chi ha iniziato a lavorare dopo il 1996. Ma non sarebbe il caso di estendere il contributivo a tutti: collegando la pensione ai contributi effettivamente versati non vi sarebbero più problemi di finanziamento delle pensioni. O sbaglio?
Giorgio Raimondi
.-.-.
Ecco la risposta:
Gentile Raimondi. Innanzitutto è necessario fare chiarezza sui termini. Quando in merito alle pensioni si parla di metodi retributivo e contributivo si fa riferimento unicamente al metodo di calcolo della rendita pensionistica e non al metodo di
Quindi il metodo di calcolo contributivo nella pensione di base agisce come calmiere della spesa pensionistica perché porta nella maggior parte dei casi a livelli di pensione inferiori rispetto a quelli che si otterrebbero con il retributivo. E questo vale soprattutto per i lavoratori con redditi medio-bassi che abbiano avuto, come di solito accade, una crescita dei salari nel corso degli anni. In alcuni casi tuttavia, soprattutto per i dipendenti con redditi medio-alti che abbiano mantenuto a lungo un livello elevato di stipendio, un eventuale calcolo contributivo farebbe aumentare, e non diminuire, la propria pensione. Questo sia perché chi ha avuto stipendi alti ha ovviamente pagato anche più alti contributi, ma soprattutto perché nel calcolo retributivo sono previste progressive penalizzazioni a partire dai redditi pensionabili oltre quota 42mila euro, penalizzazioni che oltre gli 80mila euro arrivano a più che dimezzare quello che viene chiamato il “coefficiente di rendimento”. In pratica per le retribuzioni più basse ogni anno vale il 2% (e si può così arrivare con 40 anni di lavoro ad avere l’80% del reddito medio degli ultimi anni). Per le retribuzioni più alte il coefficiente scende progressivamente fino allo 0,9%. E’ per questo che, in questi casi comunque limitati, il calcolo contributivo sarebbe addirittura vantaggioso.
Il dato di fondo tuttavia è che sulle pensioni non ci sono soluzioni facili anche perché nel corso degli anni si sono accumulati privilegi, condizioni di favore, contributi figurativi, deroghe ed eccezioni come spesso capita in Italia. Senza dimenticare che l’Italia è anche il Paese delle doppie pensioni. Secondo l’Istat ogni pensionato ha 1,4 pensioni, in pratica uno su due ha una doppia pensione. Anche per questo interventi affrettati o puramente ideologici possono ampliare le ingiustizie più che colpire i privilegi, che pur ci sono e sono tanti.
.-.-.-
Fin qui la risposta, ma sono bastate poche ore dalla pubblicazione per ricevere numerose critiche per quello che viene definito: "l'assurda difesa delle pensioni elevate". In effetti tutte le critiche puntano il dito semplicemente sul fatto che esistano delle pensioni elevate, giudicate comunque ingiustificate.
Ebbene, ragionando sui fatti e non sui pregiudizi, vorrei precisare che ritengo più che giustificato che ci sia un tetto alle prestazioni pensionistiche: mi sembra particolarmente valido l'esempio della Svizzera dove l'assicurazione obbligatoria ha un tetto alle rendite di 2350 franchi (poco meno di 2000 euro) per le persone singole e di 3500 franchi (2800 euro) per i due coniugi. Però in Svizzera non solo si pagano contributi molto inferiori (4,2% sia da parte del lavoratore, sia da parte dei datori di lavoro mentre in Italia i contributi superano il 40%), ma vi è anche un tetto attorno agli 80mila franchi (65mila euro annui) oltre al quale non si pagano più contributi.
L'Italia dovrebbe, pur gradualmente, avvicinarsi a questo modello, ma la riduzione dei contributi appare molto difficile perchè metterebbe in difficoltà il sistema. Allora se si chiede a chi ha stipendi alti di pagare alti contributi non si può poi attuare tagli indiscriminati oltre alla naturale e più che giustificata progressività fiscale.
Se si vogliono affrontare realmente i problemi si tratta di prendere in esame la realtà e non solo esercitarsi in forme di invidia sociale o di giustizialismo ideologico. E la realtà ci dice che i veri privelegi del sistema pensionistico sono in molte pensioni medio-basse ottenute con contributi figurativi, facilitazioni e deroghe.