Reddito di cittadinanza e pregiudizi liberali

Il reddito di cittadinanza ha avuto un posto particolare tra i temi che hanno caratterizzato la campagna elettorale e sarà sicuramente tra quelli che caratterizzeranno anche le prime decisioni del nuovo governo. Difeso a spada tratta dai Cinquestelle, è stato uno dei punti di interesse su cui si incentrata la campagna elettorale di Giuseppe Conte, che tuttavia ha visto dimezzati i voti per il Movimento rispetto al 2018. Lo stesso reddito di cittadinanza è stato indicato dalla destra come una delle prime riforme da abolire, o comunque ridimensionare notevolmente.
Al di là di quanto potrà succedere nelle prossime settimane appare quanto mai opportuno riflettere sulle fondamenta, anche ideologiche, degli interventi in qualche modo assistenziali dello Stato. Cercando di superare quelle visioni manichee che dividono il mondo a metà e che accreditano come valori assoluti quelli del liberalismo da una parte e delle varie forme socialismo dall’altra. E nello stesso tempo andando oltre la visione di una società intesa come blocco monolitico e invece cercando di salvaguardare quello che è spesso un semplice slogan: la centralità della persona.


E’ allora vero che il pensiero liberale esclude il più possibile interventi sociali dello Stato? Ed è altrettanto vero che anche i sistemi assistenziali sono uno spazio ampio in cui esercitare la filantropia e la solidarietà, in modo anche da salvare l’anima ai ricchi attraverso possibili opere di bene?
C’è un punto iniziale che aiuta a chiarire la prospettiva liberale: la prospettiva secondo cui l’uguaglianza non è l’utopica e dittatoriale pretesa di rendere tutti uguali, ma la possibilità concreta di offrire a tutti la parità dei punti di partenza.
Un percorso che viene illustrato con chiarezza, citando i grandi saggi del pensiero liberale, da Dario Antiseri e Flavio Felice nel libro “Libertà e giustizia economica vivono e muoiono insieme: lettera ai liberali distratti e agli statalisti ottusi” (Ed. Rubbettino. Pagg. 110, € 14).
In particolare viene ricordato Luigi Einaudi che nelle sue lezioni di politica sociale, scritte da durante il suo esilio in Svizzera tra il 43 e 45, mette in luce con estrema chiarezza il principio di uguaglianza e scrive: “il minimo di esistenza non sia un punto di arrivo, ma d partenza: un’assicurazione data a tutti gli uomini perché tutti possano sviluppare le loro attitudini”.
Può forse sorprendere che quelli che vengono considerati, giustamente, i maggiori teorici liberali come Hayek, Popper, Friedman, oltre naturalmente ad Einaudi, abbiano in qualche modo sottolineato l’esigenza di interventi dello Stato verso quanti non riescono ad avere un reddito che garantisca il minimo vitale. Con un ammonimento: “anche chi ammette – afferma Einaudi – il concetto di minimo dei punti di partenza sa che bisogna cercare di stare lontani dall’estremo pericolosissimo dell’incoraggiamento all’ozio”.
Un libro, quello di Antiseri e Felice, che cerca positivamente di smontare molti luoghi comuni. Si sottolinea, anche in una prospettiva cristiana, il valore della ricchezza attraverso le testimonianze di don Angelo Tosato. Si approfondisce il concetto di giustizia sociale nel pensiero di Michael Novak. Si ricordano le analisi dell’economia sociale di mercato sviluppate da Wilhelm Roepke.
La tesi fondo è che libertà e socialità non devono diventare due termini contrapposti, ma si possono integrare in una visione di uno Stato capace di affiancare le persone, di aiutare il mercato a funzionare meglio (per esempio contrastando i monopoli pubblici o privati), di considerare le persone nelle loro potenzialità positive e non come sudditi che devono tacere e ubbidire.