La pandemia non fa più notizia, eppure ha dato il via a una nuova epoca. I dati giornalieri sono quasi un rito che sembra destinato più a rassicurare che ad allarmare. E’ come se tutti volessero affidare il virus ai libri di storia. E invece c’è ancora molto da imparare. Il messaggio di Papa Francesco è stato sempre esplicito: la pandemia è stata, e in parte continua ad essere, un dramma universale, ma dobbiamo tutti riscoprire la grande opportunità che ci viene offerta per recuperare il senso della vita e dare concretezza alla fede e alla solidarietà. Nel suo messaggio per il Giubileo 2025, a monsignor Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, il Papa ha scritto: “Il prossimo Giubileo potrà favorire molto la ricomposizione di un clima di speranza e di fiducia, come segno di una rinnovata rinascita di cui tutti sentiamo l’urgenza. Per questo ho scelto il motto Pellegrini di speranza”.
In questo periodo, peraltro, alla pandemia si sommano altre “piaghe” per l’umanità. Innanzitutto, la guerra scatenata dalla Russia nel cuore dell’Europa. Poi la siccità, ennesimo segnale di una natura che sembra aver perso molti dei suoi tradizionali equilibri. E un’inflazione che ha rapidamente sconvolto le economie accentuando le disuguaglianze e rendendo più complessa la lotta alla povertà.
Di fronte a queste emergenze, che non nascono dal nulla ma sono in gran parte frutto di scelte che arrivano da lontano, ci sono problemi contingenti, che richiedono una grande responsabilità politica, ma ci sono anche riflessioni che devono riguardare ogni persona, e ancor più i cattolici, nell’impegno quotidiano negli ambiti della famiglia, dei gruppi ecclesiali, delle comunità.
Politica, famiglia e Chiesa: sono proprio questi i punti cardinali che Luca De Santis, assistente pastorale e docente alla Cattolica e alla Lateranense, mette a fuoco nel suo libro, con una mia introduzione, “Nella nuova epoca” (Ed. Marcianum press, pagg. 150, € 16), un libro che analizza la società del dopo-pandemia e l’ancora maggiore responsabilità dei credenti di fronte ai grandi cambiamenti sociali, economici e antropologici. Una riflessione aperta che diventa sollecitazione a trasformare i pericoli in opportunità e i nuovi assetti sociali in laboratori di crescita personale e collettiva. Una riflessione che abbraccia gli importanti temi dello sviluppo tecnologico, delle nuove forme di comunicazione, di internet e delle reti sociali.
Luca De Santis lo spiega molto bene: “La tecnica con i suoi effetti, ha come obiettivo quello di coinvolgere sempre di più, coloro che vivono all’interno di questo sistema e proprio per questo motivo, chi è cresciuto nel mondo dell’auto veloce o della televisione, oltre ad essere il fruitore di questi mezzi, ne è divenuto anche la vittima”.
Non è facile guardare con distacco una realtà, come quella della tecnologia che per molti aspetti ha un fascino irresistibile. Al mondo d’oggi non c’è solitudine peggiore di quella della persona che ha perso il suo smartphone.
Le pagine di de Santis mettono giustamente in luce l’incapacità delle istituzioni nel guidare i cambiamenti in modo umanamente corretto. Dall’Unione europea agli Stati nazionali, dai partiti politici alla Chiesa: abbiamo di fronte una realtà che si muove cambiando rapidamente i modi e le forme della convivenza sociale, ma in cui i punti di riferimento rimangono legati a vecchi schemi e a modelli superati dai fatti. E così drammaticamente la partecipazione politica si affievolisce, i partiti politici perdono il consenso popolare, la stessa Chiesa, come sottolinea efficacemente De Santis, continua ad interpretare in questa nuova epoca modelli di presenza non più attuali. Lo si vede – afferma De Santis – nella “chiara divisione esistente all’interno della Chiesa, in particolar modo tra quanto viene manifestato tramite la predicazione evangelico – magisteriale e quanto concretizzato, tramite un certo modo di realizzare la pastorale.”
I cattolici non sono certo scomparsi. La loro presenza è ancora forte in alcune dimensioni sociali, come l’assistenza, il volontariato, l’educazione dei giovani. Ma è una presenza frammentata, una presenza che mira ad obiettivi molto particolari e che non riesce ad avere la massa critica per essere un lievito all’interno della società.
È il bene comune, in questa nuova epoca, che può e deve diventare la stella polare dell’impegno sociale: “Le istituzioni – afferma De Santis – non devono mai dimenticare il concetto della prossimità e con esso quello del bene comune: riguarda sia le singole persone che i corpi intermedi, come anche il mondo istituzionale: è un bene che non si riversa solo ad alcuni estromettendo altri, ma che ricercato e realizzato anche con sacrificio da parte di tutti manifesta i suoi benefici parimenti su ciascuno”.
Nel vortice della società tecnologica è allora importante tornare ai fondamentali, al valore della persona, all’identità e alla dignità di tutti. Di tutti non come indicazione generica, ma comprendendo i valori e quindi il destino di ciascuno.