Il capitale sociale non è solo uno slogan

Il capitale sociale non è solo uno slogan. Guardiamo agli ultimi anni. Qualcuno lo aveva detto alla svolta degli anni 2000: “Il terzo millennio sarà più complicato dei secoli che l’hanno preceduto”. Ma nessuno ci voleva credere. In fondo avevamo abbandonato il secolo delle due guerre mondiali, avevamo superato la guerra fredda, iniziavamo a sperimentare le grandi potenzialità di internet e della rivoluzione digitale. La globalizzazione iniziava a dare i suoi effetti migliori: le vie dei commerci aprivano le porte ad una maggiore ricchezza e davano sempre maggiori possibilità di partecipazione alle popolazioni da sempre emarginate. 
Ma sono bastati pochi anni per risvegliarsi con più problemi di prima. L’11 settembre del 2001 ha portato l’attacco del terrorismo nel cuore della civiltà globale. La crisi finanziaria del 2008 ha messo in luce i lati negativi di un mondo interconnesso. E progressivamente è cresciuta la coscienza della necessità di lottare contro i cambiamenti climatici. Poi è arrivata, del tutto inaspettata, alla fine del 2019 la pandemia che ha messo in ginocchio il mondo, ma soprattutto le nazioni più avanzate. E per non farci mancare nulla è arrivata la guerra, l’aggressione della Russia all’Ucraina secondo schemi barbari di distruzione e di violenza.
Ora sono in crisi gli Stati, sono in crisi i tradizionali metodi della politica, sono in crisi i partiti così come le relazioni sociali. Gli stessi social network, che avrebbero potuto costituire nuove potenzialità di condivisione sociale, si sono trasformati in uno specchio delle vanità in cui è fin troppo facile perdere il senso delle cose.

E non è solo difficile rispondere alle esigenze dei nuovi equilibri sociali, è soprattutto complesso porsi le domande giuste, svolgere un’analisi i cui passi non siano segnati dal retaggio delle ideologie. Proprio per affrontare con logiche nuove i problemi del tutto nuovi degli squilibri sociali, personali oltre che collettivi, Chiara Giaccardi e Mauro Magatti, docenti di sociologia alla Cattolica, oltre che marito e moglie, hanno messo in ordine un percorso logico con il libro “Supersocietà” (Ed. Il Mulino, pagg. 240, € 16) , un libro che è qualcosa di più di un’analisi originale e approfondita, è una guida per evitare i giudizi rituali e per portare in primo piano il senso delle cose e soprattutto della vita. “Ciò di cui si sente il bisogno – scrivono Giaccardi e Magatti – è un nuovo piano di intermediazione tra i grandi processi globali e le esistenze individuali”. Perché “il problema è che le due infrastrutture istituzionali su cui continua fondarsi la nostra vita sociale, lo Stato e il mercato, appaiono inadeguate. La prima perché basata sull’idea moderna di sovranità territoriale, quando ormai le dinamiche e i problemi sono ormai da tempo globali. (…) La seconda perché il sistema dei prezzi non è più in grado di veicolare adeguatamente tutte le informazioni necessarie”. 
Il libro non offre, per fortuna, ricette precostituite. Ma indica due elementi che dovrebbero dare il senso di ogni passo da compiere: l’intelligenza e la libertà. Rispondendo a due domande che hanno in loro stesse la risposta: “Possiamo ancora fare affidamento sulle fragili realtà della coscienza, della ragione, dell’intelligenza? È oggi pensabile che sia proprio la libertà il dono che l’Occidente può portare al futuro del pianeta?” 
Ecco allora riaffiorare parole importanti come risorse morali e capitale sociale, parole che possono costituire la chiave di volta per superare la fredda ipotesi di una supersocietà basata sul calcolo, sulla tecnologia, sui consumi materiali, sul potere della burocrazia. Riscoprendo la libertà come “relazione aperta”, come elemento cardine della democrazia, come capacità di guardare in avanti rigenerando la propria identità e quindi la proiezione sociale di ogni persona. Libertà che può riscoprire la logica dei sentimenti e la forza dell’affezione per l’altro, chiamiamola pure amore, come dinamica dimensione sociale.