Impresa, sviluppo e bene comune

L’impresa va vista non solo come creatrice di ricchezza, ma anche come distributrice di ricchezza, come creatrice di bene comune, nella sua più larga dimensione all’interno della società. La scienza economica ha avuto la tendenza a studiare l’impresa solo come creatrice di ricchezza mettendo in luce più la dimensione del profitto, comunque fondamentale, rispetto all’incidenza positiva che il sistema delle imprese può dare, e potrà dare sempre di più alla creazione di valori condivisi per uno sviluppo solidale.
E’ questa la tesi di fondo del libro “Impresa, sviluppo e bene comune” di Giovanni Scanagatta (Il Canneto editore – https://www.cannetoeditore.it/ -pagg. 120, € 16). L’autore, già segretario generale dell’Ucid, Unione cristiana imprenditori e dirigenti e docente di economia monetaria alla Sapienza e a Padova, compie un percorso che passa attraverso l’evoluzione della teoria economica, l’osservazione delle logiche di impresa, l’analisi dei messaggi che negli ultimi 150 anni hanno contrassegnato la Dottrina sociale della Chiesa con i grandi temi dello sviluppo integrale dell’uomo, della solidarietà, della sussidiarietà, della destinazione universale dei beni.


C’è in questo percorso la dimostrazione di come possa essere valorizzata la scuola italiana di economia aziendale in cui spiccano i nomi di Pietro Ichino e Gino Zappa. Si può ricordare come proprio quest’ultimo abbia puntualmente definito come l’obiettivo ultimo dell’impresa sia il soddisfacimento dei bisogni umani “inteso in senso ampio, sia i bisogni di coloro che concorrono nell’azienda a raggiungere l’obiettivo della stessa, sia i bisogni dei clienti che richiedono i prodotti immessi sul mercato da quell’azienda, sia i bisogni di tutti coloro che in qualche modo costituiscono l’ambiente dell’azienda stessa (per esempio la comunità di persone che vive vicino agli stabilimenti dell’azienda e che ha una connessione più o meno ampia di essa”. E’ la dimensione degli stakeholder che tuttavia si amplia sempre di più per diventare un’attenzione alla realtà sociale nel suo complesso.
Il libro è dedicato alla memoria di Angelo Ferro, presidente nazionale di Ucid Nazionale per due mandati e artefice di un grande rilancio dell’associazione nei primi anni Duemila. Ferro, imprenditore e docente, è stato un testimone particolarmente attento alla dimensione sociale con iniziative sia a livello della propria impresa, sia della realtà locale, come la promozione a Padova di un grande centro sociale a sostegno di tutte le emarginazioni.
“L’idea di scrivere un libro su “Impresa, sviluppo, bene comune” -spiega Scanagatta – è nata dalla grande Enciclica sociale del 2009 di Benedetto XVI, Caritas in veritate. Nell’Enciclica si afferma che per il futuro abbiamo bisogno di un nuovo modello di sviluppo e al suo interno un nuovo modello di impresa orientato alla sostenibilità sociale e ambientale. L’imprenditore e l’impresa sono attori fondamentali dello sviluppo e lo sviluppo è la via per conseguire il bene comune. Il bene comune dipende dai grandi valori della Dottrina Sociale della Chiesa”.
Il libro affronta il problema del nuovo ordine economico e sociale mondiale, dopo la sua crisi iniziata nel 1971 con la dichiarazione di inconvertibilità del dollaro in oro da parte degli Stati Uniti d’America, dopo le grande crisi finanziaria del 2008, dopo la pandemia che ha sconvolto gli equilibri dei rapporti internazionali e della globalizzazione.
“Abbiamo bisogno – sottolinea Scanagatta – di un nuovo modello di sviluppo e di un’autorità morale mondiale per uscire da questa situazione carica di incertezza e mancanza di guide. L’Europa, per superare l’estrema debolezza nel contesto internazionale, dovrebbe farsi avanti facendo leva sulle radici cristiane a livello mondiale, sulla scia del grande pensiero di Romano Guardini, puntando sull’unità dei cristiani e non solo sul dialogo interreligioso”.

  • habsb |

    egr. dr. Fabi

    Massima diffidenza verso chi vuole imporre un’autorità superiore a quella del libero commercio, qualunque sia il pretesto addotto.

    E’ sempre stata grande la tentazione di invocare il bene comune per impadronirsi della ricchezza prodotta dal lavoro altrui e redistruibirlo per fare il bene di tutti (cominciando dal proprio).
    Dai sovrani romani e di altri imperi, dai preti prelati e cardinali contro cui invano tuonarono Francesco, Dante, Lutero e tanti altri, ai giacobini che rimpiazzarono i nobili nei castelli devastatati dal Terrore (le Comité de Salut Public!), ai bolscevichi, maoisti, talmente tanti sforzi sono stati fatti nella Storia per il bene comune, che c’è davvero da stupirsi che questo non sia universalmente generalizzato.

    In ogni caso, i popoli più prosperi, dagli svizzeri, agli scandinavi, agli statunitensi sembrano essere proprio i più sordi alle sirene delle autorità morali che operano per il bene comune e i più impegnati nello scambio di ricchezze grazie al lavoro di tutti e al commercio.

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