In una risposta ad un lettore sul Sole 24 ore del 27 settembre raccontavo come la storia dell’evolversi delle civiltà e delle lingue può anche non rispondere ai criteri unicamente geografici. In fondo la stessa realtà italiana dimostra che le Alpi non costituiscono una barriera linguistica: in Val d’Aosta si parla francese, attorno al Monte Rosa si sono sviluppare le comunità walser sia in Italia, sia in Svizzera, al Sud del Brennero c’è storicamente la grande comunità tedesca, in Friuli ci sono 32 comuni dove si parla sloveno.
Questo perché nel passato le montagne per secoli, nonostante le difficoltà dei collegamenti, non sono state un fattore di divisione, ma di unità. I passaggi da una parte all’altra delle vallate alpine erano frequenti, anche se magari limitati al periodo estivo, soprattutto per la ricerca di pascoli adatti allo sviluppo della pastorizia.
Lo dimostra, per esempio, la mummia del Similaun, Oetzi, l’uomo venuto dal ghiaccio scoperto venticinque anni fa proprio in Alto Adige, nell’alta val Senales ed ora custodito nel Museo Archeologico di Bolzano. Oetzi , vissuto più di cinquemila anni fa, era verosimilmente un cacciatore dato che aveva con sé un arco e due frecce oltre che un’ascia in rame. Il suo ritrovamento, reso possibile dal ritiro dei ghiacciai, è avvenuto a pochi passi del confine tra la val Senales e l’Otztal in Austria tanto che la mummia venne portata ad Innsbruck e solo grazie ad un accordo speciale tra la Provincia autonoma di Bolzano e il Governo austriaco venne trasferito a Bolzano dopo che era stato acclarato che il ritrovamento era avvenuto in territorio italiano. (Un segno peraltro degli ottimi rapporti tra le due comunità di lingua tedesca)
Questo per sottolineare come i contatti delle popolazioni attorno alle montagne risalgano all’antichità se non alla preistoria. E questo anche perché la montagna costituiva un riparo dato che nelle pianure erano più facili le scorrerie dei vandali e delle bande armate.
Riguardo alla polemica, concludevo, sulla toponomastica bilingue l’augurio è tutto si possa risolvere adottando da una parte e dall’altra la strategia del buon senso. Il bilinguismo è ormai un dato di fatto, anche per la forte attrazione turistica dell’Alto Adige. E vi sono nomi italiani che, anche se imposti dal fascismo, sono ormai entrati nell’uso corrente e vanno salvaguardati. Ma senza inutili polemiche rispettando tradizioni e sentimenti popolari. In Val d’Aosta nessuno si sogna di ritornare ad aggiungere al nome di Courmayeur quello di Cormaiore come il comune era stato forzatamente chiamato dal 39 al 46.
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la prima reazione è stata quella di un lettore che mi ha ricordato come l’accordo De Gasperi-Gruber preveda tassativamente l’uso del bilinguismo dato che è prevista”la parità delle lingue italiana e tedesca negli uffici pubblici e nei documenti ufficiali, nonché nelle denominazione topografica bilingue”. Quindi il bilinguismo deve essere pieno e assoluto. Per la difesa della lingua italiana.
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Guardando la fotografia della denominazione di un via in un paesino dell’Alto Adige mi permetto di dire che proprio la difesa della lingua italiana esigerebbe tanto buon senso nell’uso del biliguismo. (Per chi non conosce il tedesco “weg” in tedesco significa via o strada, mentre “Kirche” significa Chiesa, quindi la traduzione corretta avrebbe dovuto essere “Via della Chiesa”)