La scuola è stata giustamente indicata come priorità nel programma di Matteo Renzi. Giustamente perché il sistema scolastico italiano si sta dimostrando sempre più incapace di offrire ai giovani percorsi capaci di integrarli nella società e soprattutto nel mondo del lavoro. Ma se è doveroso investire, come promesso, 3,5 miliardi per le strutture scolastiche, sarebbe altrettanto importante rafforzare il sistema educativo, motivare i docenti, superare costruttivamente la logica dell’apprendimento nozionistico.
La strada dell’efficienza e dell’efficacia può passare tuttavia anche attraverso una costruttiva competizione tra gli istituti e una promozione della libertà di scelta delle famiglie, a cui spetta la prima responsabilità educativa.
Un forte richiamo alla difesa della scuola libera e paritaria è stata espressa in una lettera, pubblicata sul Sole 24 Ore di martedì 23 aprile, e firmata da tre grandi esperti del sistema scolastico: Dario Antiseri, filosofo, già direttore del Centro di metodologia delle scienza sociali alla Luiss, autore con Giovanni Reale di una monumentale Storia della filosofia occidentale; Flavio Felice, presidente del Centro Studi Tocqueville-Acton e docente di “Dottrine Economiche e Politiche” alla Pontificia Università Lateranense e Bruno Bordignon, dottore in Teologia presso l’Università Pontificia Salesiana e a lungo responsabile delle scuole salesiane
Ecco la lettera
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"Finché la scuola in Italia non sarà libera, neppure gli italiani saranno liberi". Questo affermava Luigi Sturzo nel 1947. E il suo monito vale ancor oggi più di ieri. Non è giusto e soprattutto non libero un Paese dove una famiglia che iscrive un figlio ad una scuola non statale deve pagare per la sua scelta di libertà. E desta sconcerto sapere che negli ultimi anni è morta una scuola libera ogni tre giorni – ogni tre giorni è morto un pezzo di libertà.
La scuola statale è un patrimonio grande e prezioso che va protetto, che va salvato dallo statalismo, vale a dire dal monopolio o quasi-monopolio statale nella gestione dell'istruzione. Se è vero che è la competizione – quale processo di scoperta del meglio – a costituire la più alta forma di collaborazione, perché, allora, seguitare ad ostinarsi nella demonizzazione del buono-scuola? Non potrebbe essere, dottor Fabi, proprio il buono scuola la migliore terapia per i mali che affliggono la scuola a gestione pubblica ed a gestione non statale?
Dario Antiseri, Flavio Felice, Bruno Bordignon
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Ed ecco la mia risposta
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Cari professori, come non ricordare come Luigi Sturzo considerasse un grave pericolo l’avanzare di quelle che chiamava le “male bestie”: in primo luogo proprio lo statalismo e poi la partitocrazia e lo sperpero di denaro pubblico. Uno statalismo ancora più pericoloso perché “è una bestia che si traveste e trasmuta in modo da non farsi riconoscere”.
Ma dopo più di 60 anni si può affermare che quei richiami sono stati chiaramente profetici. Lo dimostra, tra l’altro, il fatto che sia solo parziale e limitato l’aiuto alle famiglie che scelgono la scuola paritaria mentre la proposta del buono scuola ha avuto solo piccole e ristrette attuazioni in ambito regionale, per esempio in Sicilia e in Lombardia.
Ma a livello nazionale una possibilità di sostegno alle scelte di libertà delle famiglie è sempre stata vista per quello che non era, cioè un attacco alla scuola pubblica. Sventolando in modo improprio la bandiera costituzionale del “senza oneri per lo Stato”, in modo improprio perché il favorire l’accesso alle scuole paritarie costituisce un risparmio e non certo un costo aggiuntivo per le finanze pubbliche.
Va invece sottolineato come proprio una libertà di scelta e una sana competizione non potrebbe che giovare ad un sistema scolastico che, così com’è, appare sempre meno in grado di rispondere alle esigenze di una società non solo moderna, ma anche libera.
La politica tuttavia non ha tutte le colpe. Il problema non è solo nello Stato, ma sempre più spesso anche nelle famiglie che firmano una delega in bianco perché lo Stato si curi dell’educazione dei propri figli. C’è una crisi della famiglia che rischia di perdere progressivamente la propria identità travolta dalla fragilità dei legami e dalle tentazioni di un individualismo libertario. E il sistema educativo non può che risentirne perché se la famiglia non riesce ad essere un anello di collegamento tra la scuola e la società si crea un distacco sempre più forte anche tra la stessa scuola e il mondo del lavoro. Come dimostra, drammaticamente, la realtà dell’Italia di oggi.