Sono sempre stato e resto convinto che nel mondo del lavoro non vi debbano discriminazioni di genere, per intenderci tra uomo e donna, e che una significativa presenza femminile non è solo utile, ma indispensabile nella gestione delle imprese. Non perché uomini e donne sono uguali. Ma proprio perché uomini e donne sono diversi, hanno differenti sensibilità, possono portare sul lavoro competenze diversificate e positivamente integrabili. C’è quindi l’esigenza di rimuovere gli ostacoli che possono frapporsi innanzitutto al fatto che le donne possano entrare nel mondo del lavoro e poi che possono avere le stesse opportunità di muoversi e di fare carriera.
In un’economia libera, dinamica e creativa è doverosa una sola uguaglianza, quella dei punti di partenza. All’inizio, nella scuola come nel mondo del lavoro, ogni persona, ogni uomo e ogni donna, deve poter accedere con pari opportunità, ma poi deve essere lasciata libero di esprimere le proprie capacità e le proprie possibilità.
Se in Italia c’è un problema femminile non è perché ci sono poche donne ai vertici delle imprese o della politica, ma perché c’è la più bassa partecipazione femminile al lavoro, la più bassa scolarità superiore nelle discipline tecniche e scientifiche, il più alto tasso di abbandoni del lavoro in caso di maternità.
Secondo i dati dell’Ocse l’Italia è al terz’ultimo posto, davanti a Turchia e Messico, per livello di partecipazione femminile nel mercato del lavoro: 51% contro una media dei paesi industrializzati. E questo anche perché meno del 30% dei bambini al di sotto dei tre anni usufruisce dei servizi all’infanzia e il 33% circa delle donne Italiane lavora part-time per conciliare lavoro e responsabilità familiari.
Allora il problema non è solo quello di definire le quote rose tra i ministri o i dirigenti delle grandi imprese (magari dovendo andare a pescare persone di scarsa competenza), ma quello di garantire dal basso una vera uguaglianza.
Un ministro donna o un presidente di una donna alla presidenza di una grande impresa pubblica non spostano di una virgola la vera questione femminile per affrontare la quale occorrerebbero concrete misure per la famiglia, asili nido, supporti anche economici alla maternità, coraggiose politiche di rilancio demografico. Ma non volendo fare tutto questo allora si mette l’etichetta delle quote rose sulla bottiglia vuota delle politiche per le pari opportunità.
L’impressione complessiva delle ultime scelte del Governo è purtroppo deludente. Le donne che faticano a conciliare la famiglia e il lavoro non miglioreranno la loro condizione con le quote rose ai vertici delle aziende.