«Una rivoluzione copernicana»: così Sergio Marchionne ha definito sia le sue proposte sul futuro dell'industria dell'auto, sia l'atteggiamento richiesto ai collaboratori per ottenere i massimi risultati dal cambiamento. E c'è un filo logico molto chiaro e altrettanto coraggioso nelle scelte di strategia economica illustrate dall'amministratore delegato della Fiat e nel confronto aperto sul futuro dell'economia e della società italiana.
Una rivoluzione che ha alla sua base una nuova alleanza, con il superamento del consolidato metodo del conflitto, e che apre la strada a una sempre maggiore responsabilità delle persone all'interno della dimensione produttiva. È di fronte a questa responsabilità che si articola spesso il senso di smarrimento quando si mettono in discussione le consolidate garanzie e le certezze del passato. Ma non bisogna dimenticare che la crisi economica e finanziaria degli ultimi mesi è stata solo un capitolo di una lunga serie di cambiamenti epocali che hanno contrassegnato gli ultimi vent'anni. Dal crollo delle ideologie all'esplodere della globalizzazione, dall'innalzamento dell'età media nei paesi occidentali ai grandi flussi di migrazione, dalla crisi ambientale alle tensioni sociali per la disoccupazione: tutti elementi che dimostrano come il mondo sia profondamente cambiato e come sia quindi anche necessario guardare avanti superando gli schemi di giudizio tradizionali.
Lo osserva con decisione il cardinale Angelo Scola, patriarca di Venezia, nel suo ultimo libro che ha un titolo molto semplice “Buone ragioni per la vita in comune”, ma che traccia un impegnativo e ambizioso cammino per rinnovare il significato e il valore dell'impegno di ciascuno nella politica e nell'economia. La crisi ha dimostrato come sia fondamentale il ruolo dello stato, l'unica entità che ha il potere, i mezzi e la forza per interventi drastici e mirati di fronte alle emergenze. Ma nello stesso tempo ha reso evidente che «c'è bisogno di più stato per salvaguardare il peso della società civile e per avere più mercato». In una visione in cui non c'è antagonismo, ma complementarietà, non c'è un primato ideologico, ma funzionalità sociale. Perché se non si creano spazi di libertà, se non si concede fiducia alle persone e ai gruppi intermedi, se non si sollecita la partecipazione politica non si può che veder affievolire lo spirito d'iniziativa e di generosità collettiva.
Il punto di fondo non sta infatti nell'efficienza dei modelli teorici, ma nella capacità della dimensione sociale di sollecitare la responsabilità delle persone, la loro partecipazione attiva, la gestione creativa di beni che possono avere una finalità pubblica pur restando di proprietà privata. E allora la risposta alla crisi sarà tanto più efficace quanto più, a fianco e oltre le scelte di politica economica, si approfitterà del necessario minore impegno finanziario degli stati per ridare spazio alle iniziative delle persone, delle famiglie, delle organizzazioni del privato sociale con la loro capacità e con un dinamismo che lo stato dovrebbe solo aiutare e non pretendere d'ingabbiare nella morsa della burocrazia.
Angelo Scola, "Le buone ragione della vita comune". Ed. Mondadori, pagg. 120, € 17,50
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Pubblicato il 30 settembre sul Sole 24 Ore