Il caro-petrolio ci toglierà il caffè

Rubin L’andamento del prezzo del petrolio rischia di mandare in soffitta 200 anni di storia del pensiero economico. Era infatti il 1817 quando David Ricardo pubblicò quei Principi di politica economica e delle imposte in cui delineò la sua teoria dei vantaggi comparati, in base alla quale i paesi tendono a specializzarsi nei beni la cui produzione ha un costo-opportunità, misurato in termini di altri beni, minore che in altri paesi. Il punto fondamentale che fa stare in piedi questa teoria è che i costi di trasporto delle merci da un paese all’altro non devono essere tali da annullare le differenze nei costi di produzione. E infatti proprio la presenza di forti divari di prezzo tra i prodotti, unita a un’incidenza dei trasferimenti sostanzialmente poco rilevante, ha fatto in modo che la globalizzazione divenisse un dato reale e significativo.
Fino al paradosso facilmente verificabile nei negozi che vendono "tutto a un euro": i beni che hanno un minor prezzo di vendita sono quelli che vengono più da lontano, in particolare della Cina.
Jeff Rubin (nella foto), canadese, è considerato uno dei maggiori esperti del mercato petrolifero anche perché è tra i pochi che ha saputo prevedere gli andamenti dei prezzi, apparentemente erratici, degli ultimi anni.

Ebbene nel libro Che fine ha fatto il petrolio Rubin fa una considerazione e una previsione. La considerazione è che l’aumento del greggio fino a quasi 150 dollari al barile, avvenuto nel 2008, non è imputabile solo a fattori straordinari di natura finanziaria, ma ha incorporato gli effetti del forte aumento della domanda e dei sempre più alti costi di estrazione dei nuovi giacimenti. La previsione è che quel record potrà essere raggiunto e superato entro pochi mesi consolidando livelli anche superiori ai 200 dollari.
Gli effetti potranno essere dirompenti con un mutamento sostanziale dei rapporti di competitività delle produzioni. Sarà sempre più stringente la necessità di specializzarsi, di vincere sul fronte della qualità quella differenza di competitività che non è possibile ottenere sul fronte dei prezzi. Con un elemento in più: «Il vertiginoso aumento dei prezzi di trasporto – sottolinea Rubin – sposterà di nuovo il pendolo economico dall’economia globale all’economia locale e improvvisamente dovremo diventare più versatili».
Una sfida indubbiamente complessa anche solo quella di immaginare un sistema sociale, oltre che economico, senza il petrolio economico e abbondante. Non solo perché arriveranno a prezzi astronomici gli agnelli congelati della Nuova Zelanda, ma soprattutto perché dovranno cambiare anche abitudini consolidate, come quelle di un buon caffè. Meno viaggi per le persone e per le merci, una filiera industriale più stretta e compatta, una più forte attenzione ai mercati locali: aggiustamenti a cui provvederà il mercato, ma che provocheranno pesanti contraccolpi se non si sarà pronti ad affrontarli in tempo.

Jeff Rubin, "Che fine ha fatto il petrolio", ed. Elliot, pagg. 318, € 19,5

Pubblicato sul Sole 24 Ore del 27 gennaio

  • Enrico Mengoni |

    Ad oggi il prezzo del petrolio è abbastanza alto (80$ barile), su questo incidono vari fattori (speculazione, investimenti in ricerca, consumo della Cina), ma potrebbe subire anche cali se venissero scoperti nuovi giacimenti importanti o nuove tecnologie estrattive per gli alti fondali oceanici.

  • Gianfranco Fabi |

    Messaggio
    Si
    dice che gli economisti sono bravi soprattutto nello spiegare perchè hanno
    sbagliato le previsioni. Quanto al petrolio ci sono tutte le condizioni per un
    rialzo del prezzo nel lungo termine, ma, ovviamente, come hanno dimostrato gli
    anni 90 del secolo scorso, ci potranno essere anche lunghi periodo di prezzi in
    discesa o comunque più bassi degli attuali.
    Gianfranco

  • Quotazione Petrolio |

    Siete sicuri che salirà? se l’economia non si riprende c’è spazio per un’ulteriore discesa.

  • Stefano |

    Sono anni che stiamo subendo passivamente la concorrenza cinese: solo l’azione politica potrebbe aiutarci, non l’innovazione tecnologica, produttiva ecc.ecc.
    La concorrenza fatta da chi ha un costo del lavoro bassissimo, nessuna tutela sociale e previdenziale, imposte ai minimi termini ecc. è inaffrontabile per noi italiani.
    Magari si avverrasse la teoria di Rubin: in questo caso, e solo in questo, sarei disposto a pagare il petrolio più caro.

  • Giorgio |

    E’ una previsione fin troppo facile quella che il prezzo del petrolio salirà di nuovo. Invece di aspettare che sia il mercato ad farci adeguare, cominciamo da subito a preferire prodotti locali, sia in campo alimentare che nel resto. Diciamo basta ai prodotti “made in china” se non vogliamo che tutte le nostre attività produttive chiudano per sempre. A quel punto, avendo perso ogni capacità produttiva, saremmo costretti a comprare dall’estero a qualunque prezzo. Se non cambiamo rotta a livello individuale, ben presto saremo tutti poveri e disoccupati.

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