In questa prospettiva tutto il sistema sarebbe basato su di una enorme truffa: quella di non tener conto “dell’impossibilità di prevedere le performance future dell’economia e il momento in cui si passa dall’espansione alla recessione e viceversa.” Per essere credibili le previsioni dovrebbero infatti tener conto di tutta una serie di variabili che sono di complessa misurazione e “che possono combinarsi in modi praticamente infiniti”, ma che non consentono comunque di raggiungere nessuna certezza dato che “la somma di più ignoti è comunque ignota”.
Con queste parole Galbraith getta un’ombra su tutta le teorie classiche dell’economia, basate sulla prevalenza delle scelte razionali e quindi sulla possibilità di valutare con sufficiente approssimazione le tendenze e gli andamenti dei mercati.
Forse anche per queste posizioni drastiche Galbraith non è stato mai ben visto dalla corporazione degli economisti, non ha mai vinto il premio Nobel, non ha mai elaborato teorie economiche passate alla storia con il suo nome. E non sorprende che non sia stato del tutto gradito un professore che pur avendo insegnato a Princeton, Cambridge ed Harvad, predicava che “il mondo finanziario ospita una comunità numerosa, attiva e ben pagata che vive una irrimediabile, ma apparentemente sofisticata, ignoranza”. Giudizi non certo ideale per provocare simpatie, ma questo non toglie che le analisi, come quella sul “grande crollo” del ’29 o sulla “società opulenta” restino dei lucidissimi esempi di interpretazione dell’evoluzione economica.
Quest’ultima opera ha tutta l’aria di chi voglia togliersi parecchi sassolini dalle scarpe, ma ha il grande pregio di costituire una provocatoria chiave di lettura per giudicare, con una buona dose di dissacrazione, anche la drammatica crisi finanziaria che stiamo ancora vivendo.
John Kenneth Galbraith, L’economia della truffa, Ed. Rizzoli, pagg. 152, € 8
——
Pubblicato sul Sole 24 Ore del 3 dicembre 2009