Una via italiana all’economia di mercato. Una ipotesi che potrebbe sembrare ambiziosa soprattutto in un momento, come l’attuale, in cui la crisi dell’economia globale rischia sempre di più di imboccare la strada di una recessione strutturale di lungo periodo. Eppure appare sempre più evidente come sia necessario un salto di qualità culturale e insieme una discontinuità interpretativa per tentare di rimettere insieme i cocci dell’economia.
“L’impresa civile” è così il titolo del libro in cui Luigino Bruni cerca di andare oltre alla tradizionale visione “macro” dell’economia di mercato per ricercare una nuova strada in cui l’approccio antropologico riesca ad ottenere un posto di prima fila. Realizzando un passo avanti rispetto alla tradizionale visione della responsabilità sociale dell’impresa e inserendo nelle prospettive economiche anche elementi come la gratuità, la felicità, la fraternità che fino ad ora sono state interpretate con altre logiche e altre prospettive.
Non si tratta semplicemente di umanizzare l’economia e nemmeno di limitarsi ad ampliare quel “terzo settore” in cui sono comprese le attività non immediatamente riconducibili al profitto: si tratta di fare in modo che “la fraternità, la reciprocità e la pubblica felicità diventino progetto civile e politico, nuovo patto sociale”.
Parlare di “impresa civile” vuol dire così richiamare lo spirito originario di un filosofo ed economista italiano, Antonio Genovesi, certamente meno noto di Adam Smith o Karl Marx, che tuttavia con il suo saggio Lezioni di commercio ossia di economia civile ha messo in evidenza la stretta relazione tra l’economia e i valori umani. Genovesi sottolineava già nella seconda metà del Settecento che, per favorire il benessere e l'aumento dei consumi, sarebbe stato necessario promuovere in ogni modo la cultura e la civiltà, affermando di pari passo l’autonomia della ragione e l’affermazione della libertà. E attribuiva una notevole rilevanza al ruolo dell'educazione e allo sviluppo delle scienze e delle arti, esaltando l'importanza del lavoro per il bene dei singoli e della società.
Un’economia che trovi fondamento sui valori dell’umanità non solo può offrire una risposta alle esigenze più vere dei singoli, ma anche il legame necessario per un possibile rilancio. Il legame è quello della fiducia (la “fede pubblica” citata da Veronesi) la cui mancanza è unanimemente riconosciuta come una delle maggiori cause dell’attuale crisi globale. Scrive Bruni: “Oggi in Occidente la risorsa scarsa, anche economica, della società (non solo economia) di mercato è la relazione interumana genuina, non puramente strumentale e contrattuale, che possiamo chiamare anche fraternità.”
Non è quindi solo la visione di un’economia dal volto umano, è anche e soprattutto un far tornare il mercato, il capitale, la proprietà privata come i migliori strumenti, ma pur sempre strumenti, che le persone e le società possono utilizzare per il bene collettivo, un bene che va al di là e al di sopra dei capitali e delle “cose”.
Luigi Bruni, L’impresa civile, Università Bocconi editore, pagg. 174, € 15.
Pubblicato sul Sole-24 Ore del 18 giugno