Quasi in parallelo con l’avanzare della crisi economica sembra guadagnare interessi e consensi anche una tentazione: quella di cogliere questa occasione per dare spazio ad un nuovo modello di sviluppo capace di invertire completamente la rotta rispetto all’epoca dell’industrializzazione. Si parla così di “decrescita” e hanno ripreso quota e attenzione le teorie del filosofo francese Serge Latouche che predica da anni la necessità di far fare passi indietro alla società dei consumi, di ridurre redditi e produzione, di tornare ad una società silvo-pastorale caratterizzata dalla frugalità, dalla lentezza, dalla ricerca dell’essenziale. Le tesi di Latouche mirano anche ad affrontare e tentare di risolvere anche il problema degli squilibri ambientali perché una riduzione dell’attività industriale, del traffico, della produzione di energia porterebbe quasi naturalmente con se anche una riduzione delle emissioni e dell’inquinamento.
La decrescita ha indubbiamente il fascino del romanticismo economico, ma in questa fase sembra palesemente più una rinuncia a voler affrontare i veri nodi della crisi che non una prospettiva in grado di offrire soluzioni reali: a meno di voler accettare la povertà con tutte le sue implicazioni, carrozze a cavalli e lumi a petrolio compresi.
Una profonda e ambiziosa critica alla teoria della decrescita è anche il cuore del libro dell’economista francese Jaen-Paul Fitoussi “La nuova ecologia politica”, scritto con Eloi Laurent. “La posta in gioco per il 2009, scrive infatti Fitoussi, è a dir poco capitale: attenuare la crisi ecologica smorzando la crisi finanziaria, rilanciare l’economia per riuscire a cambiarla”.
La strategia prevede così un massiccio intervento pubblico. Si tratta di affrontare la necessità di rilancio della produzione attraverso forti investimenti nelle energie alternative e nel risanamento ambientale e così rispondere alla diminuzione della domanda di beni privati con una maggiore richiesta di beni pubblici. Allo stesso modo appare importante intervenire per ridurre le disuguaglianze perché come ha drammaticamente dimostrato l’attuale crisi è stata solo una perversa illusione quella di pensare che si poteva attuare una politica sociale offrendo ai poveri prestiti per acquistare case sempre più care.
Finora l’intervento pubblico si è contraddistinto nell’evitare che la crisi finanziaria diventasse una crisi sistemica e si sono così messi a disposizione del sistema bancario ingenti capitali per chiudere le falle dei titoli tossici e difendere un titolo pubblico come il rispramio. Ora si tratterebbe di destinare forti risorse alla difesa di beni altrettanto pubblici come l’equilibrio ambientale e la qualità della vita.
“La crisi ecologica, spiega Fitoussi, si spiega con un ritmo troppo veloce di consumo delle risorse naturali e un ritmo troppo lento di investimento nelle nuove tecnologie e dell’energia”. L’obiettivo dovrebbe allora diventare quello sviluppo sostenibile che è troppo importante per essere lasciato solo nel mondo dell’utopia.
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Jean-Paul Fitoussi, Eloi Laurent, “La nuova ecologia politica”, Ed. Feltrinelli, Pagg. 124, € 14
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Pubblicato sul Sole 24 Ore del 4 giugno
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Sul rapporto ecologia e mercato potete leggere l'intervista a Greenreport
http://www.greenreport.it/contenuti/leggi.php?id_cont=19930