«La pace mondiale non potrebbe essere salvaguardata senza sforzi creativi all’altezza dei pericoli che la minacciano. Il contributo che un’Europa organizzata e viva può fornire alla civiltà è indispensabile al mantenimento delle relazioni pacifiche». Inizia così la dichiarazione, ispirata da Jean Monnet, che il ministro degli Esteri francese Robert Schuman pronunciò il 9 maggio 1950, dichiarazione che viene considerata l’atto istitutivo di quella che è diventata l’Unione Europea.
E lo sforzo creativo dei padri fondatori dell’Europa è stato veramente rilevante e di portata storica, come dimostrano ampiamente i successi economici negli anni della ricostruzione. Grazie prima alla Comunità del carbone e dell’acciaio e solo pochi anni dopo alla creazione del Mercato comune europeo, i paesi del Vecchio continente hanno fatto passi da gigante, sfruttando al meglio tutte le potenzialità che erano offerte da un’efficace integrazione tra intervento pubblico e logiche di mercato.
Lo sottolinea con forza l’analisi di Barry Eichengreen, professore di economia a Berkeley, nel suo libro sulla nascita dell’economia europea: «Una spiegazione degli investimenti elevati, della rapida crescita delle esportazioni e della moderazione salariale che hanno sostenuto l’età dell’oro è l’esistenza di una serie di istituzioni particolarmente adatte agli imperativi posti all’epoca della crescita».
In pratica vi fu una costruttiva convergenza d’interessi grazie a elementi congiunturali, come la possibilità di spostare rapidamente manodopera dall’agricoltura all’industria e la forte spinta al trasferimento tecnologico dagli Stati Uniti ai paesi alleati anche in funzione politica e militare, elementi che si sono uniti ai fattori strutturali, come la liberalizzazione del commercio, che ha moltiplicato gli effetti dei forti investimenti destinati alla ricostruzione. Un ruolo importante venne anche dalle tradizioni di cooperazione sociale e di moderazione sindacale, che contribuirono a mantenere bassi i salari migliorando le potenzialità d’investimento delle imprese. E inoltre, nei primi anni le partecipazioni statali garantirono la realizzazione d’infrastrutture decisive per lo sviluppo economico.
La visione di Eichengreen offre tuttavia una prospettiva particolarmente interessante perché cerca di rispondere alla domanda: le condizioni che hanno permesso l’età dell’oro negli anni 50 possono essere un modello per ricostruire ora le basi della crescita, dopo la prima grande crisi globale del secondo millennio? La risposta è sostanzialmente positiva: le condizioni ci sono, ma l’Europa deve adattare la propria politica allo spirito dei tempi.
Nei primi anni l’anima dell'Europa è stata la volontà di creare istituzioni che facessero funzionare meglio i mercati: la politica della concorrenza è sempre stata al primo posto nella logica della Comunità. Ora la sfida è quella di non soffocare l’economia nella burocrazia e di riuscire ad affrontare la sfida con gli Stati Uniti per le nuove tecnologie. L’Europa può tornare a crescere, ma solo sfruttando al meglio l’innovazione e la ricerca per rilanciare le forze del mercato.
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Barry Eichengreen, "La nascita dell'economia europea". Ed. Il saggiatore, Pagg. 420, € 29
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Pubblicato sul Sole 24 Ore del 21 maggio 2009