In questi giorni la tragedia del terremoto in Abruzzo porta in primo piano, insieme al dolore e alla paura, anche la forza, l’orgoglio, lo spirito di partecipazione degli italiani. La volontà di affrontare il disastro, pur nella ferita profonda delle tragedie personali, è emersa di pari passo con l’avanzare di una vera e propria ondata di solidarietà, con l’impegno dei volontari e la spontaneità delle donazioni.
Gli italiani stanno dimostrando ancora una volta di essere capaci di grandi slanci nelle situazioni di emergenza, di avere volontà e forza d’animo e anche di riuscire a organizzare gli interventi sulla base delle competenze e dei bisogni.
Ma ci si può chiedere come mai le virtù private tendano nella normalità a diventare quasi regolarmente vizi collettivi e, nella stessa prospettiva, come mai il grande spirito imprenditoriale debba avanzare tra le mille difficoltà del peso della burocrazia, della lentezza dell’amministrazione, della complessità delle procedure.
Piero Ottone, giornalista di lungo corso, traccia nel suo ultimo libro un quadro degli ultimi cinquant’anni dell’Italia con un grande affetto (partendo dal titolo Italia mia), ma insieme con l’amaro realismo di chi misura la distanza tra le grandi potenzialità e le difficoltà quotidiane.
Con la sua analisi Ottone ha un obiettivo ambizioso, quello di aggiornare uno dei maggiori successi, soprattutto all’estero, dell’editoria italiana negli anni ’60: Gli italiani di Luigi Barzini. Ne esce un affresco ricco di personaggi, tratteggiati con stile ed eleganza, con giudizi anche sferzanti, ma che aiutano puntualmente a ricostruire le più recenti e importanti vicende politiche ed economiche. La realtà italiana è letta sul filo conduttore delle traversie del giornalismo, di cui Ottone, direttore prima del Secolo XIX e poi del Corriere della Sera, è stato uno dei protagonisti. Traversie che peraltro sono strettamente intrecciate con le personalità, come Gianni Agnelli e Carlo De Benedetti, che hanno avuto una parte determinante nelle trasformazioni economiche del Paese.
Al fondo resta un giudizio disarmante: «Ci sono gli individui di valore – scrive Ottone – ma gli individui, per avere successo, per affermarsi, per imporre i loro criteri e il loro stile, insomma per rendere, devono fare squadra». E ancora: «A livello nazionale la squadra manca, non si è mai fatta: non c’è una classe dirigente paragonabile a quella dei grandi Paesi occidentali». L’accusa più forte è rivolta così alla classe politica i cui esponenti «sono impreparati, inefficienti, inaffidabili».
Eppure resta sempre valido il paradosso del calabrone, in teoria troppo pesante per volare con quelle piccole ali, ma che, non sapendolo, continua a volare. Anche l’Italia ha il peso di una politica che non riesce (e non vuole) riformare se stessa, eppure il Paese riesce ad affermarsi, ad affrontare le emergenze come i terremoti, ma anche a organizzare, inventare e trovare nuove strade per produrre e creare valore. I difetti ci sono: ma già la capacità di riconoscerli è fare un passo avanti per affrontarli.
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Piero Ottone, Italia mia, Ed. Longanesi, pagg.190, € 15
Pubblicato sul Sole 24 Ore del 9 aprile