Nella storia della Fiat negli ultimi quattro anni c’è qualcosa di più di un pur rilevante processo di risanamento e rilancio industriale, c’è il superamento totale e in qualche modo definitivo delle teorie economiche che hanno contraddistinto la nascita e lo sviluppo della grande industria nel modello occidentale. In pratica si possono ormai consegnare alla storia le grandi e dotte analisi che hanno avuto il loro principale interprete in Frederick Winslow Taylor, l’ingegnere imprenditore statunitense che a cavallo tra Otto e Novecento, teorizzò "L’organizzazione scientifica del lavoro" che venne poi sviluppata da Henry Ford con l’introduzione della catena di montaggio nelle sue fabbriche di automobili.
Secondo Taylor, la grande industria doveva attuare un decentramento dei compiti direttivi e, in questa prospettiva, affidare l’intera organizzazione del lavoro agli ingegneri e ai tecnici. «Tutta l’attività intellettuale – scrisse Taylor – deve essere eliminata dall’officina e concentrata nell’ufficio programmazione… perché il costo di produzione può essere ridotto separando il più possibile il lavoro di programmazione da quello manuale». La fabbrica viene allora governata da meccanismi rigidamente definiti e in cui il lavoro manuale è fortemente parcellizzato e ripetitivo.
Bisogna riconoscere comunque che il taylorismo non ebbe fin dall’inizio vita facile, perché la valutazione del lavoro operaio come semplice impegno manuale non poteva che suscitare critiche funzionali e prese di distanza etiche, ma il sottile fascino della gerarchia e dell’ordine produttivo si è mantenuto a lungo nel tempo.
Il caso Fiat può essere considerato la vera svolta, soprattutto a livello di grande impresa. Lo dimostra il racconto di Francesco Garello e Roberto Provana nel libro "Fiat people" (ed. Lupetti, pagg. 168, € 15) in cui si parla della vera e propria rivoluzione culturale che ha contrassegnato, dal 2004, la strategia interna di Sergio Marchionne e Luca Cordero di Montezomolo ai vertici della multinazionale torinese. «Non è vero – scrive Garello, fino al 2007 direttore delle risorse umane di Fiat Group – che sistemi e organizzazioni complesse devono essere governati da procedure, da meccanismi organizzativi rigidamente dettagliati, da un livello di burocrazia legnoso e antico». Ridare centralità alla persona, a qualunque livello di responsabilità operativa, vuol dire allora far prevalere i valori della cultura, della competenza, della leadership, della competizione e mettere in moto un meccanismo di partecipazione attiva sempre più coinvolgente.
L’esatto contrario del taylorismo anche per un altro aspetto. La fabbrica non viene più considerata una realtà chiusa e le funzioni aziendali sono sempre meno entità separate che lavorano per propri obiettivi: il lavoro di tutti si gioca in un continuo confronto con il mercato, cioè con lo scenario esterno che «detta i tempi, il ritmo, le condizioni, i vincoli e qualche volta le opportunità».
Anche per questo Fiat è riuscita a imboccare una nuova strada, compiendo un vero e proprio salto culturale in cui l’organizzazione diventa uno strumento di crescita e non una camicia di forza.
Pubblicato sul Sole-24 Ore del 30 ottobre 2008