Venerdì 22 febbraio l’Istat ha comunicato, insieme al dato "tradizionale" sull’inflazione, anche un nuovo indice dell’andamento dei prezzi dei beni di più frequente acquisto. Ecco una breve riflessione.
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Un’operazione di trasparenza. Con il calcolo dell’aumento dei prezzi dei beni a più alta frequenza d’acquisto l’Istat ha fatto chiarezza e ha indirettamente risposto alle molte polemiche che negli ultimi tempi accompagnavano le rivelazione sull’andamento dell’inflazione. Quel 4,8% è innanzitutto la dimostrazione di come le "percezioni" dei consumatori sugli aumenti dei generi di largo consumo fossero fondate e reali. Insieme al 2,9% dell’indice medio vi è comunque la dimostrazione che i prezzi sono tornati a correre e che l’inflazione dovrà costituire nei prossimi mesi, elezioni e contratti compresi, un tema di fondo nell’azione di una difficile politica economica (nazionale) e monetaria (europea). Perchè se è doveroso salvaguardare il potere d’acquisto delle famiglie è altrettanto necessario difendere e migliorare la competitività delle imprese, una competitività che è l’unica vera possibilità di compensare gli effetti negativi dell’inflazione importata. La ricetta non è facile, ma si compone di due ingredienti: da una parte una riduzione del peso del fisco resa possibile da un taglio strutturale della spesa pubblica, dall’altra un recupero di produttività attraverso massicce dosi di efficienza, formazione e innovazione. Le scorciatoie rischiano solo di portare fuori strada.