Ha giustamente suscitato qualche sorpresa e molto interesse la scelta dell’Accademia reale svedese delle scienze di assegnare il premio Nobel dell’economia a tre personalità relativamente giovani e non particolarmente conosciute.
I tre economisti sono di nazionalità diverse: indiana (Abhijit Banerjee), francese (Esther Duflo) e americana (Michael Kremer), e dividono il loro tempo tra l’insegnamento nelle due più prestigiose università americane, l’MIT e Harvard, entrambe con sede a Cambridge nei dintorni di Boston, e le ricerche sul campo in particolare in India e in Kenya. Sono stati premiati infatti, dice la motivazione “per l’approccio sperimentale nella lotta alla povertà globale”. Una piccola frase questa che racchiude una significativa rivoluzione.
Innanzitutto si parla di approccio sperimentale, cioè l’osservazione sul campo per verificare nel concreto gli effetti delle scelte delle politiche per affrontare quello che dovrebbe essere una delle più importanti sfide dell’economia, la lotta alla povertà. E questo proprio sfidando le tendenze di pensiero di un periodo come l’attuale in cui i temi monetari e finanziari sembrano invece dominare il pensiero economico.
Allo stesso modo il premio è una palese presa di distanza dagli economisti che criticano, in gran parte magari giustamente, la società attuale, ma poi teorizzano un indefinito nuovo modello di sviluppo, un fantomatico superamento del capitalismo e ovviamente un definitivo abbandono del neoliberismo. Il tutto utilizzando modelli matematici e sofisticati calcoli sulla base di algoritmi sempre più complessi basati su di una razionalità del tutto teorica.
Invece i tre nuovi premi Nobel si sono, come dire, sporcati le mani, hanno avvicinato realtà ai margini delle società, hanno messo in primo piano la necessità di dare soluzioni pratiche ai bisogni essenziali delle persone. E infatti nell’annunciare i vincitori dell’edizione 2019, il Comitato per i Nobel ha sottolineato come i risultati delle ricerche dei tre vincitori abbiano “migliorato enormemente la nostra capacità di lottare in concreto contro la povertà”. In particolare, per esempio, come risultato di uno dei loro studi, più di cinque milioni di ragazzi indiani hanno potuto seguire programmi innovativi di studio. In soli due decenni il loro nuovo approccio ha trasformato l’economia dello sviluppo facendola diventare un campo di ricerca ricco di nuove prospettive.
I tre economisti sono intervenuti in alcune aree di disagio con azioni lontane dalle tradizionali forme di sussidi, aiuti finanziari o elargizioni, ma cercando di determinare le condizioni per creare nuove opportunità, per avvicinare le famiglie ai presidi sanitari, per sollecitare attenzioni ed iniziative individuali, per eliminare i vincoli che avevano determinato l’esclusione.
Un Nobel alla concretezza quindi. Ed è forse utile sottolineare come questo premio prosegua un filo logico che ha portato alla ribalta negli anni personalità importanti nelle ricerche sulle disuguaglianze e il sottosviluppo, ponendo al centro le persone e non i sistemi, le esperienze più che le ideologie.
Come l’americano Richard Thaler Nobel per l’economia nel 2017 o lo scozzese Angus Deaton nel 2015. Quest’ultimo in particolare va ricordato per aver sfidato i profeti di sventura, quelli che pensavano e continuano a pensare che il problema del sottosviluppo sia legato all’esplosione demografica e alla globalizzazione. Due elementi che vanno certamente governati, ma che racchiudono molte opportunità da affrontare con un approccio positivo, rispettoso delle persone e fondamentalmente costruttivo.
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Trasmesso il 18 ottobre nella rubrica Plusvalore della Rete Due della Radio della Svizzera italiana
https://www.rsi.ch/play/radio/plusvalore/audio/tre-nobel-alla-concretezza?id=12195019