Röpke, De Gasperi e la “vera” terza via

La “vera” terza via merita di essere riscoperta. Ogni tanto, ma sempre meno spesso, nel dibattito politico ed economico infatti torna a galla il richiamo ad una ipotetica “terza via”, considerata spesso come un compromesso tra lo Stato e il mercato, tra i presunti valori dell’intervento pubblico e quelli, altrettanto presunti, dell’iniziativa privata e della concorrenza.
Nel recente passato la “terza via” è legata soprattutto all’esperienza inglese di Tony Blair che alla fine del secolo scorso tentò di superare la contrapposizione manichea tra laburisti e conservatori. E provò ad applicare quello che potremmo chiamare un socialismo ben temperato dopo gli anni di liberalismo radicale di Margaret Thatcher.
In questa prospettiva in Italia in quegli stessi anni si possono ricordare sul fronte della sinistra i tentativi di Enrico Berlinguer di spostare il partito comunista su posizioni sostanzialmente socialdemocratiche, e comunque non più legate al collettivismo sovietico. Successivamente Massimo D’Alema trovò tuttavia la dura opposizione dell’allora leader della Cgil, Sergio Cofferati, innamorato della tradizionale lotta di classe.


Di “terza via” si è parlato quindi recentemente soprattutto per la volontà di almeno parte della sinistra di superare il fallimentare richiamo al comunismo, non solo dopo il crollo dell’Unione sovietica. Magari dimenticando come un modello di società in cui si possono conciliare libertà individuali e giustizia sociale abbia avuto origine, partendo da tutt’altri presupposti, negli anni a cavallo della Seconda guerra mondiale con quella che è stata chiamata “economia sociale di mercato”. Un movimento di pensiero che non parte da sinistra, ma che ha le sue radici nel valore della persona e quindi nel liberalismo.
Appare quindi importante il libro che Flavio Felice, docente di Storia delle dottrine politiche all’Università del Molise e tra i maggiori appassionati studiosi della storia del liberalismo contemporaneo, ha dedicato al padre dell’economia sociale di mercato (Wilhelm Röpke, ed. IBL libri, pagg. 172, € 14).
Nel libro si delinea infatti non solo l’evoluzione del pensiero e dei modelli sociali dei maggiori economisti, con Röpke in prima fila, che hanno forgiato la base della ricostruzione della società tedesca dopo la catastrofe del nazismo. Un percorso basato sui valori di fondo della libertà, della partecipazione, dell’inclusione, di uno Stato capace di garantire le potenzialità di un’economia di mercato fondata non (solo) sui capitali, ma anche (e soprattutto) sulla moralità delle persone e sulle esigenze di giustizia sociale.
E sono interessanti le sottolineature che Felice propone sul fatto che questo modello abbia trovato in Italia, negli anni della ricostruzione, un’attenzione particolare. Non solo negli importanti interventi di Luigi Einaudi e di Luigi Sturzo, ma anche nell’attenzione di quel protagonista della ripresa del cammino della democrazia che è stato Alcide De Gasperi. “Anche alla luce della posizione di Röpke – scrive Felice – De Gasperi è convinto che occorra promuovere un “umanesimo liberale”: in questa espressione il sostantivo è l’umanesimo che, per definizione, non può che valorizzare il carattere umano delle istituzioni civili, promuovendo la libertà ed esigendo la responsabilità al fine di conseguire il bene di tutti e di ciascuno”.
Una visione lontana dalla dimensione della politica come gestione del potere, come imposizione di regole per difendere interessi particolari, come ricerca del consenso con i metodi della propaganda populista.
E’ anche per questo che appare più che utile riscoprire le origini e gli sviluppi dell’economia sociale di mercato e i suoi protagonisti.

  • Gianfranco Fabi |

    Grazie della sua attenzione. Penso che sia meglio essere un po’ meno ricchi, ma più liberi.

  • habsb |

    Se possiamo trarre una lezione dagli ultimi 80 anni di storia, è forse proprio quella del sostanziale fallimento della terza via dell’economia sociale di mercato di Röpke.
    Non si puo’ negare che l’Europa socialdemocratica ha ottenuto risultati sostanzialmente inferiori sia al liberalismo USA delle grandi imprese onnipotenti, sia al fascismo cinese dello stato-partito che pensa e dispone per ciascun cittadino, e non tollera dissenso.
    In entrambe le superpotenze la prosperità delle classi medie ha fatto passi da gigante rispetto all’Europa, dove le disuguaglianze fra ricchi e poveri sono rimaste comunque forti e inaccettabili (non meno che in Cina e USA).
    Insomma: i risultati dell’Europa sono stati paragonabili sul piano sociale, ma largamente inferiori sul piano economico.

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