Mai come in questo periodo la fiducia è protagonista degli eventi economici. In negativo, perché proprio dal crollo della fiducia negli strumenti dell’ingegneria finanziaria ha avuto inizio la spirale perversa che ha portato i mercati sull’orlo del tracollo. In positivo, perché è sul ritorno della fiducia nella crescita che si giocano le possibilità di limitare i danni della crisi e di evitare che si dilatino i meccanismi della recessione.
La fiducia, in verità, non è innanzitutto un dato economico, ma un requisito umano e sociale, e quindi una caratteristica morale. Ma dato che al centro dell’economia, di ogni economia, non può che esserci la persona, il pilastro su cui si regge l’edificio delle relazioni economiche ha nella fiducia i suoi punti forti. Colui che è considerato il primo teorico dell’economia di mercato, Adam Smith, non ha scritto solo La ricchezza delle nazioni, ma anche La teoria dei sentimenti morali, dove si trovano pagine molto belle sull’intreccio tra etica e psicologia. In Smith non c’è una concezione del comportamento umano esclusivamente basata sul freddo calcolo dell’interesse personale, ma anche una profonda convinzione che l’intreccio della domanda e dell’offerta avesse alla sua base proprio i requisiti di trasparenza e affidabilità.
E allora ci si può chiedere chi, nei mesi e negli anni scorsi, abbia falsato la competizione sui mercati finanziari provocando la più grave crisi dal ’29. Se i comportamenti scorretti sono stati tanti, c’è stato tuttavia uno strumento che più di ogni altro è stato protagonista del tradimento: il rating e chi lo ha gestito. Non è una scoperta di oggi. Il Sole 24 Ore ha più volte messo in luce limiti, parzialità e soprattutto conflitti d’interesse delle società di rating: nel settembre del 2007 Isabella Bufacchi concludeva una sua analisi sostenendo che «le agenzie di rating vedono andare a picco una reputazione costruita in più di cento anni di lavoro».
Pierangelo Dacrema, docente di economia degli intermediari finanziari all’Università della Calabria, continua nella sua missione di geniale dissacratore delle sovrastrutture economiche iniziata con La dittatura del Pil, e presenta ora un nuovo atto d’accusa approfondito e documentato proprio sulle società di rating con il libro La crisi della fiducia. «Quello tra rating e finanza – scrive Dacrema – si è rivelato un appuntamento fatale e il loro connubio ha generato creature mostruose». I capi d’imputazione sono tanti, e tutti sono andati nella direzione di rendere sempre più fragili le radici della dimensione finanziaria. Il rating è stata la leva attraverso cui la speculazione ha sconvolto il mondo tanto da mandare in briciole anche il valore di regole pubbliche e condivise, come Basilea 2. La finanza della complessità ha così cercatofino all’ultimo la propria sopravvivenza «nei numeri falsi e nei numeri sbagliati».
Il realismo del mercato alla fine ha avuto il sopravvento: ma sulle macerie del rating è ora necessario che la fiducia torni a fondarsi sui valori, e quindi sulle persone, piuttosto che sugli strumenti, e quindi sul denaro.
Pierangelo Dacrema, "La crisi della fiducia", Ed. Etas, pagg. 134, € 14,00
Pubblicato sul Sole 24 Ore del 27 novembre