L’eclisse della socialdemocrazia

Berta Il voto per il Parlamento europeo ha confermato tendenze sostanzialmente previste. La difficoltà nei singoli paesi dei partiti storici, in particolare delle socialdemocrazie, si è infatti unita al crescente consenso verso i gruppi in diverso modo estremisti, populisti, comunque d’opposizione e di protesta. Ma con in più un singolare, anche se solo apparente, paradosso: di fronte alla più grave crisi economica e finanziaria degli ultimi 80 anni le risposte che prevedono più ampi interventi degli Stati, non solo passano trasversalmente agli schieramenti politici, ma sfuggono alle tradizionali catalogazioni ideologiche.
Non sorprende quindi che si possa parlare di crisi, anzi di Eclisse della socialdemocrazia, come sostiene Giuseppe Berta nel suo ultimo libro. Perché emergono con sempre maggiore evidenza le difficoltà di quella stessa strategia economico-capitalista che la socialdemocrazia ha largamente fatta propria negli ultimi decenni. E soprattutto con riferimento all’esperienza inglese, risalta con chiarezza come la sinistra abbia sposato pienamente il modello di sviluppo globale, quel turbocapitalismo analizzato da Edward Luttwak, quale premessa e condizione necessaria per attuare una vera politica di redistribuzione e di equità sociale.



«Il centro-sinistra – spiega Berta – ha accettato una divisione semplicistica fra chi si opponeva alla marcia del capitalismo globale e chi la voleva rendere più rapida e agevole, scegliendo per sé la seconda posizione».
Il risveglio è stato indubbiamente brusco e tale da compromettere la stessa identità delle socialdemocrazie. Perché gli interventi per tamponare le falle della crisi, per esempio la nazionalizzazione inglese della Northern Rock, sono stati certamente tempestivi ed efficaci, ma hanno nello stesso tempo dimostrato come fosse completamente mancata la capacità di cogliere in tempo i segnali di crisi: nella sinistra si era infatti diffusa la convinzione che «la liberalizzazione assoluta delle forza dell’economia rappresentasse di per se stessa un vettore di progresso».
In prospettiva, le socialdemocrazie hanno tradito sia il mercato, che ha bisogno di regole morali oltre che giuridiche per funzionare, sia lo spirito di John Maynard Keynes, che peraltro, come ricorda lo stesso Berta, era sostanzialmente un liberale.
Non per nulla lo stesso Keynes è generalmente considerato puramente e semplicemente come il teorico dell’intervento statale, mentre nella Teoria generale c’è una «sensibilità antiburocratica, una diffidenza tipicamente liberale per gli eccessi dello statalismo, un senso di pericolo magari elitario verso la società di massa».
Ci sono tutti gli elementi quindi per comprendere come la crisi del capitalismo (che comunque non è il fallimento di un modello, ma il frutto di una overdose di finanza) proceda di pari con la l’eclisse di una socialdemocrazia che, nell’illusione di ottenerne i massimi benefici, ha in fondo rinunciato a governare il mercato. 

Giuseppe Berta, "Eclisse della socialdemocrazia", Ed. Il Mulino, pagg.134, € 10

Pubblicato l'11 giugno sul Sole 24 Ore