È possibile, anche se non del tutto probabile, che gli scossoni nella finanza mondiale e il desiderio largamente condiviso di un sistema di regole di più stringente garanzia possano portare a un nuovo assetto dei rapporti finanziari internazionali. In questa prospettiva i fondi sovrani, come vengono chiamati gli organismi finanziari che fanno capo a governi o pubbliche istituzioni, se apparivano prima della crisi come veri e propri protagonisti nei rapporti tra i paesi emergenti e quelli industrializzati, sembrano ora aver subito un drastico ridimensionamento, non solo patrimoniale, ma anche politico-strategico. Decisive sono state le perdite per crollo delle Borse e dei prezzi delle materie prime così come le difficoltà operative legate alla scarsa trasparenza e alla mancanza di garanzie.
Qualcosa tuttavia si muove. E in maniera significativa su un piano diverso anche rispetto al recente passato. Lo dimostra l’intesa raggiunta nei giorni scorsi a Parigi tra il club europeo degli investitori di lungo periodo, che per l’Italia comprende la Cassa depositi e prestiti, e i fondi sovrani di Pechino, Mosca, Abu Dhabi, Dubai, Marocco e Canada. E come ha commentato il presidente della Cdp, Franco Bassanini, «l’emergere di un forte gruppo di investitori di lungo periodo può essere il migliore alleato dei policy maker a livello mondiale nel tentativo di correggere gli squilibri dovuti alla crisi».
Una svolta dettata anche dalla volontà di collaborazione e di integrazione tanto più importante quanto più delicata è l’attuale fase della finanza mondiale. Una svolta peraltro anche rispetto alle scelte di difesa, spesso di ostilità, che avevano contrassegnato negli anni scorsi i paesi occidentali di fronte alla crescente pressione dei fondi sovrani, in particolare di quelli con la cassaforte gonfia per le rendite petrolifere.
Lo ricordano Alberto Quadrio Curzio e Valeria Micheli in un’analisi che spiega, oltre alla storia e alle dimensioni dei fondi sovrani, anche i tentativi degli organismi internazionali e dei singoli governi di bloccare acquisizioni considerate ostili. Fece particolarmente rumore, per esempio, il contenzioso tra il governo americano e la Dubai Port World dopo l’acquisizione da parte di quest’ultima della P&O che gestiva una serie di porti negli Stati Uniti. In quel caso l’opposizione del Congresso portò non solo alla rinuncia del fondo degli Emirati, ma segnò anche l’avvio di una serie di misure per tutelare la sicurezza e gli interessi strategici del paese.
Quale potrà essere ora l’evoluzione? In prospettiva c’è un ruolo crescente di collaborazione in cui l’Europa potrà sfruttare le occasioni positive se, come affermano Quadrio Curzio e Micheli, la Ue «si darà nuove regole evitando che ogni stato membro vada per la sua strada» e dotandosi «di un suo fondo sovrano per agire sia in senso anticrisi che procrescita». Una ipotesi quest’ultima che il ministro Giulio Tremonti ha più volte sollecitato, un’ipotesi che riprende il progetto di Jacques Delors all’inizio degli anni 90 e che potrebbe essere la naturale evoluzione di quello che sembrava un sogno, quel sogno che poi si è realizzato con la moneta unica europea.
Alberto Quadrio Curzio e Valeria Miceli, I fondi sovrani, Ed. Il Mulino, pagg. 152, € 8
Pubblicato sul Sole 24 Ore del 2 luglio