C’è una tentazione e insieme un’illusione nel guardare al futuro dell’economia e della società dopo la grande crisi degli ultimi mesi. L’illusione è quella di pensare che, prima o poi, tutto tornerà come prima e la tentazione che ne deriva è quella di aspettare perché, prima o poi, non potrà che rimettersi in moto il ciclo virtuoso dei consumi e quindi della produzione, dell’occupazione, della ricchezza.
Purtroppo non sarà così. E’ del tutto verosimile, nonostante tutte le exit strategy possibili, non solo che sarà molto lungo il cammino per tornare ai livelli di crescita pre-crisi, ma anche che non mancheranno le tensioni sul fronte degli equilibri sociali con un preoccupante aumento delle disuguaglianze con una disoccupazione destinata a rimanere a lungo su livelli particolarmente alti. Non solo nei rapporti tra le diverse aree del mondo, ma anche all’interno dei singoli paesi appare così evidente la necessità di trovare nuovi equilibri di giustizia sociale: non a caso proprio negli Stati Uniti un osservatore attento come Paul Krugman ha spesso indicato come un elemento anomalo la scomparsa dei ceti medi e quindi l’aumento delle distanze tra i ricchi e i poveri.
Prendere atto della crisi vuol dire accettare di rimettere in discussione vecchi modelli e consolidate certezze. Lo mette in risalto il libro “Organizzare l’altruismo”, scritto da Mauro Ceruti e Tiziano Treu, che ha l’ambizioso sommario “globalizzazione e welfare” e pone in primo piano la necessità di tener conto che “lo sconvolgimento degli scenari globali impone di rimettere in discussione compiti e strutture del potere pubblico statale, della politica e della partecipazione democratica”.
E’ ormai evidente che gli effetti della crisi infatti non riguardano solo gli equilibri del sistema economico, ma toccano da vicino anche l’incapacità della teoria economica di spiegare il presente e soprattutto di interpretare il futuro. Anche perché al tradizionale concetto di rischio, in qualche modo prevedibile e calcolabile, si è affiancato il concetto di incertezza, maggiormente legato alla fragilità e all’instabilità.
Ma mentre il rischio fa parte, anzi è un elemento fondamentale, del mercato, l’incertezza è tale da mettere in crisi sia i meccanismi della domanda e dell’offerta, sia quella fiducia negli altri e nel futuro che costituisce un elemento fondamentale dello stesso mercato.
Ecco allora che un cambio di prospettiva appare fondamentale. Ma non solo per migliorare le garanzie e quindi aumentare l’affidabilità dei sistemi di welfare, ma anche per dare al mercato la possibilità di funzionare meglio e quindi di riprendere a creare la ricchezza necessaria a finanziare efficaci e razionali politiche redistributive.
Il nostro stato sociale deve fare un salto di qualità, per esempio affrontando la necessità di rimediare alla grande insufficienza degli ammortizzatori sociali per i quali la spesa è ora pari a un terzo della media europea lasciando per di più scoperte proprio le categorie di lavoratori più precarie. Ma dovrebbe anche riscoprire valori come quello della partecipazione dei lavoratori al capitale delle imprese, per troppo tempo sacrificato sull’altare di una conflittualità considerata dal sindacato un elemento qualificante dell’impegno sociale.
Mauro Ceruti e Tiziano Treu, "Organizzare l’altruismo, ed. Laterza, pag. 178, € 12
Pubblicato sul Sole 24 Ore dell'11 marzo