L’ultimo episodio è quello di Pomigliano d’Arco, ma tutta la storia politica italiana è contrassegnata dalle incompresioni tra la sinistra e il mercato, tra i partiti e i sindacati progressisti e l’economia fondata sulla libertà d’impresa.
«Un matrimonio difficile, ma necessario»: seguendo questa traccia Mattia Granata, giovane studioso di storia economica, ripercorre un rapporto complesso e contrastato in un libro (Sinistra e mercato) in cui si delineano, sotto questo particolare aspetto, l’evoluzione storica e le prospettive della politica e della società italiana. In un’analisi che lascia ampi spazi alla delusione, perché in tutte le pagine appare quasi in sottofondo quel monito dei bravi per cui "quel matrimonio non s’ha da fare".
Certo, parlare di "sinistra" vuol dire aggregare in un’unica dimensione forze che vanno dai nostalgici della rivoluzione leninista all’ala sociale della Democrazia cristiana: un’operazione temeraria, ma comunque non priva d’interesse per l’influenza culturale che ha avuto questa pur vasta e diversificata area politica. E allo stesso modo parlare di mercato può dare origine a diverse interpretazioni, soprattutto se lo si considera come una dimensione alternativa e non complementare a quella dello stato.
Eppure la discriminante dovrebbe essere semplice: il mercato, per lasciare esprimere tutte le potenzialità a coloro che vi operano, deve avere delle regole che garantiscano a tutti eguali condizioni. Ma le regole, dettate ovviamente dallo stato, devono essere tali non da restringere gli spazi di manovra o da obbligare a obiettivi determinati, ma dovrebbero essere garanzia di libertà.
Friedrich von Hayek era stato drastico nella sua critica alla sinistra: «I socialisti – scrisse – sono vittime di una presunzione fatale: credono di sapere più di quanto sia possibile sapere e credono di poter conseguire fini impossibili da raggiungere».
Il mercato è invece il luogo dove si formano la domanda e l’offerta, dove si definiscono i prezzi, dove ognuno non solo può liberamente acquistare, ma soprattutto liberamente produrre. Il mercato è uno strumento che non ha né può avere fini propri: gli obiettivi li può definire solo chi, responsabilmente e secondo precisi valori etici, liberamente vi opera.
E invece spesso, come nel libro di cui parliamo, la sinistra continua a vedere il mercato come il regno della speculazione, dove gli interessi privati hanno sempre la meglio sul benessere collettivo. Fino ad arrivare al punto – scrive Granata sul tema della gestione dell’acqua – in cui «prigioniere della propria contraddizione, le forze progressiste si trovano a difendere le inefficienze della gestione pubblica». Ma la via d’uscita delineata non è l’accettazione del mercato, perché si arriva a indicare nel movimento cooperativo quasi una terza via più per evitare che per superare le difficoltà. Una cooperazione che è certamente uno dei punti forti della storia economica italiana, basti pensare alla forza delle banche locali, ma che in molti casi ha costituito anche un fattore distorsivo della concorrenza e del confronto aperto.
Mattia Granata, "La sinistra e il mercato", Ed. Aliberti, pagg.190, € 16
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pubblicato il 24 giugno sul Sole 24 Ore