Domenica 25 maggio era la giornata mondiale dell'Africa. E' stato difficile trovarne traccia nei mezza d'informazione italiani ed europei impegnati soprattutto sulle prospettive del voto per il nuovo Parlamento del Vecchio Continente. Si può dire che l'Africa è un tema troppo complesso per essere affrontato con i metodi rapidi e "twitteristici" dell'informazione tradizionale. Eppure il Continente nero dovrebbe far parte degli interessi immediati della politica europea.
Non solo per il problema dell'immigrazione (da cui è partita la riflessione del lettore che ho commentato nella mia rubrica settimanale sul Sole 24 Ore), ma anche per quella dimensione economica che costituisce una grande opportunità. Ma nei Paesi dell'Africa subsahariana, quelli che stanno dimostrando i maggiori trend di crescita, la presenza italiana è poco più che simbolica. Sono certamente rilevanti le iniziative dei missionari così come quelle delle organizzazioni non governative, soprattutto sotto il profilo dell'assistenza sanitaria, molto importante nel migliorare la qualità della vita. Ma l'attenzione verso l'Africa delle scuole e delle università è veramente ai minimi termini.
Ecco la lettera e la mia risposta.
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Di fronte all’emergenza immigrazione è ormai chiaro che gli interventi di salvataggio e di aiuto ai profughi, pur se indispensabili dal profilo umano, non aiutano a risolvere i problemi di fondo che spingono migliaia di persone ad abbandonare quel Continente. Si parla regolarmente di sostenere le economie dei Paesi africani per dare una speranza e una diversa prospettiva ai Paesi da cui proviene la maggior parte dei migranti, ma mi sembra che in questa direzione da parte dell’Italia e soprattutto dell’Europa si muovano ben poche cose. Eppure qualcuno descrive l’Africa come la protagonista dell’economia mondiale nei prossimi decenni, ma la realtà mi sembra contraddica questa ipotesi.
Antonio Feliciani
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Gentile Feliciani, innanzitutto bisogna dire che non è possibile dare un giudizio unico e complessivo su di un Continente composto da 54 stati sovrani con enormi differenze tra di loro, ognuno con una propria storia politica e sociale e soprattutto con una enorme disparità nella dotazione di materie prime e di risorse naturali. Basti pensare che la nazione più ricca è la Guinea Equatoriale con una ricchezza pro capite cento volte superiore a quella della vicina Repubblica democratica del Congo. Ci sono tuttavia due problemi di fondo che tuttavia accomunano quasi tutti i paesi. Il primo è la fragilità delle classi dirigenti a cui si accompagna una diffusa corruzione e una politica che mira essenzialmente alla difesa del potere con tutti i mezzi. Il secondo è la scarsissima dotazione di quelle infrastrutture che potrebbero permettere di partecipare ai benefici del processo di globalizzazione. L’Africa ha certamente grandi potenzialità, ma è ancora caratterizzata da guerre e conflitti locali aggravati negli ultimi anni dagli integralismi islamici e dal terrorismo. L’Africa è tuttavia “un continente in movimento” come dice il titolo di un libro di Federico Bonaglia e Lucia Wegner (Ed. Il Mulino, pagg. 240, €18) in cui si mettono in luce con grande realismo i punti di forza e di debolezza e quindi anche le possibili strade per un impegno più costruttivo da parte dei paesi europei. La logica dovrebbe essere quella, (facile a dirsi, ma complicatissima da realizzare), di aiutare i paesi africani ad aiutarsi da soli. Come scrive Romano Prodi nella prefazione “la debolezza si può vincere solo con una strategia di cooperazione tra i diversi paesi africani, data la ristrettezza dei loro mercati, compresi i mercati dei paesi più popolosi. Grandissimi sono tuttavia gli ostacoli che si oppongono a questo progetto. Non solo ostacoli politico-istituzionali, ma anche ostacoli materiali che, nel continente africano sono superiori a quelli di tutti gli altri continenti. Mancano strade, ferrovie, reti energetiche e infrastrutture di ogni tipo. Soltanto la telefonia mobile sembra potersi sviluppare con una velocità e una capillarità simile a quella di altre aree del globo”. In questa prospettiva va sottolineata la forte presenza della Cina. Anche questo potrebbe essere uno stimolo per l’Europa in una concorrenza costruttiva superando gli schemi del vecchio e nuovo colonialismo.
Lettera pubblicata sul Sole 24 Ore del 27 maggio