Che cosa sia un virus lo abbiamo imparato molto bene in questi 18 mesi in cui abbiamo combattuto contro il Covid 19, un nemico invisibile, subdolo, capace di provocare grandi sofferenze fino ad uccidere le persone. Così come abbiamo imparato che dai virus ci si può e ci si deve difendere. E ci si è difesi dapprima bloccando la vita sociale ed economica, poi affidando alla ricerca e alla scienza le realizzazioni di vaccini in grado di fermare o comunque di limitare gli effetti più negativi del contagio.
Eppure non sono bastate le immagini della tragedia della pandemia per convincere una parte significativa della popolazione sulla necessità, per il bene proprio e per il bene della società, di superare i pregiudizi e le paure sulla vaccinazione. Magari nella convinzione che la pandemia sia frutto di un complotto organizzato dalle multinazionali del farmaco o da qualche oscuro gruppo ormai tradizionalmente di ispirazione giudo-pluto-massonica.
Non c’è sufficiente consapevolezza, e insieme non c’è insufficiente informazione. Anche perché, bisogna riconoscerlo, si è parlato giustamente di infodemia per indicare come proprio sulla pandemia vi siano state troppo spesso informazioni approssimative e contradditorie.
Ma di virus non c’è solo quello nato nei laboratori o nei mercati cinesi. Ci sono virus di tutt’altra specie che rischiano tuttavia di creare danni diversi, ma ugualmente dirompenti.
Sono i virus informatici, i programmi che possono penetrare nelle reti Internet rubando dati, bloccando sistemi, copiando e utilizzando informazioni riservate, interrompendo procedure di sicurezza.
Il pericolo è sempre più reale. Dalle forme più semplici di phishing (il furto con destrezza di codici e password attraverso messaggi solo apparentemente formali) agli attacchi hacker con richieste di riscatti milionari come è avvenuto nelle scorse settimane alla società che gestisce le reti energetiche della costa orientale degli Stati Uniti così come al sistema informatico del sistema sanitario del Lazio.
Alessandro Curioni è uno dei maggiori esperti italiani di cybersicurezza e ha scritto manuali tecnici e saggi divulgativi per far prendere coscienza della fragilità degli attuali sistemi di comunicazione e quindi della necessità di prendere tutte le necessarie misure per contrastare la criminalità informatica.
Ma per sollecitare ancora di più l’attenzione, e quindi la conoscenza di questi temi, Curioni ha scelto la strada manzoniana del romanzo. Il suo ultimo libro infatti (“Il giorno del Bianconiglio”, Ed. Chiarelettere, pagg. 312, € 18) è semplicemente una storia d’amore ambientata tra la redazione di un giornale e una società di consulenza per la sicurezza informatica. Con una trama basata su fatti reali il racconto è un giallo moderno ricco di spunti di riflessione, di spiegazioni tecniche, di episodi reali di cui molto spesso non si viene a conoscenza.
Un solo esempio. Chi sono gli hacker? “La storia degli hacker – scrive Curioni a metà del racconto – è come quella degli anarchici, che nell’opinione comune sono tutti bombaroli. Conosco dei simpatici signori, libertari convinti, che vanno in ansia quando scoppia un petardo, figuriamoci una bomba. Mezzo mondo è ancorato allo stereotipo dell’hacker sociopatico. Un oscuro eroe giustiziere del web, una specie di Batman. In realtà, una grande fetta di quelli definiti comunemente hacker vive come le persone normali, ammesso che esista un concetto condiviso di normalità. Le potrei presentare degli studenti universitari assolutamente anonimi che mi hanno spiegato come craccare le tessere elettroniche di quasi tutte le aziende dei trasporti pubblici in meno di tre minuti. Non sono forse hacker, quelli?”.
Morale della favola. Tutti coloro che utilizzano in qualsiasi modo la rete dovrebbero essere a conoscenza dei rischi che si corrono, così come dovrebbe crescere la consapevolezza sulla fragilità delle grandi strutture economiche e finanziarie. I protagonisti del racconto si impegnano a sventare un attacco che in parte loro stessi hanno creato e che punta a mettere in ginocchio una grande società energetica con conseguenze sulla vita di un’intera nazione. Il finale, come si addice a tutti i gialli, è imprevisto e imprevedibile. Ma anche paradossale e divertente.
E l’autore comunque in una nota, quasi a ricompensare chi è arrivato al termine del libro, torna alla sua vocazione principale, quella di divulgatore, e spiega come agiscono i due protagonisti tecnologici del racconto: Bianconiglio e Cappellaio matto, ovviamente due virus informatici di ultima generazione.