Il reddito di cittadinanza visto da Rosmini

E’ significativo pensare a come si sarebbe posto oggi Antonio Rosmini di fronte ad una realtà economica come quella attuale.
Rosmini, sacerdote, contemporaneo di Alessandro Manzoni, è una delle figure più grandi e anche per questo più controverse nella vita della Chiesa. I suoi libri sono stati messi all’indice, poi riabilitati. E venne proclamato beato nel 2007.
Negli scritti di Rosmini emerge con chiarezza il giudizio secondo cui ogni squilibrio è determinato da una perdita di valori della società. E c’è un particolare anello di congiunzione tra economia ed educazione: per Rosmini ogni male sociale ha la sua origine nella carenza morale del vivere civile. A questa carenza vi è un solo rimedio: l’educazione. Tuttavia non vi può essere educazione dove domina la povertà e l’emarginazione; e non si può vincere la povertà se non si punta decisamente sull’educazione. Il cammino della cultura, delle scoperte e delle innovazione scientifiche e tecnologiche possono far crescere la società solo come fine si pongono il bene morale delle persone.


Rosmini visse in un periodo in cui la rivoluzione industriale iniziò a segnare la dimensione sociale. La sua famiglia possedeva a Rovereto una filatura di seta, una grande impresa, soprattutto per quei tempi, un’azienda in cui si vedeva tutti i problemi legati alla condizione operaia, al lavoro manuale e ripetitivo, alla variabilità delle condizioni di mercato.
Anche per questo Rosmini, pur non dedicando nessuna opera specifica all’economia, ha dimostrato di avere una sensibilità particolare a questi temi, sia negli aspetti generali della supremazia dell’economia di mercato, sia in quelli particolari come la lotta alla povertà e l’integrazione tra le logiche di mercato e quelle non profit, come afferma con chiarezza l’enciclica Caritas in veritate.
La difesa del diritto di libertà quindi, ma insieme il solido ancoraggio dei principi morali; il valore della concorrenza e del mercato, ma insieme un ruolo dello Stato per garantire regole certe e l’uguaglianza di fronte alla legge; una forte critica allo statalismo, al dirigismo, al collettivismo, ma insieme il sostegno a una politica economica capace di fondare un equilibrio dinamico tra i fattori materiali e quelli culturali e morali.
E in un suo scritto Rosmini sembra criticare fortemente l’ipotesi di reddito di cittadinanza. Perché “lo Stato non può avere come obiettivo quello di un’uguaglianza attraverso la ridistribuzione delle ricchezze: la beneficenza governativa, ha scritto Rosmini, può riuscire, anziché di vantaggio, di grave danno, non solo alla nazione, ma alla stessa classe indigente che si pretende beneficiare.” L’intervento dello Stato, doveroso per affrontare i casi più clamorosi di ingiustizia sociale, deve quindi restare limitato, temporaneo ed eccezionale: un intervento che va esercitato “con prudenza” e affiancato comunque sia a un coerente sostegno alla beneficenza privata, sia ad azioni che stimolino ciascuno a mettere a frutto le proprie capacità.
Rosmini è stato forse uno dei pochi filosofi dell’Europa continentale ad aver guardato al nuovo sviluppo economico con un atteggiamento sostanzialmente positivo pur tenendo conto dei costi umani e sociali che la rivoluzione industriale stava facendo emergere.
E infatti una delle sue maggiori preoccupazioni era il pericolo che l’Europa moderna fosse attirata sulla strada di un progresso economico materiale perdendo di vista i propri valori etici e soprattutto la propria identità spirituale. E proprio partendo dal concetto di radici, e quindi di identità, si può comprendere come al centro della società non ci possono essere le ideologie, ma si deve ritrovare sempre e unicamente il valore della persona.
L’istruzione resta una delle maggiori risorse per migliorare l’uomo. Ed è significativo che proprio una delle cinque piaghe della Santa Chiesa sia stata indicata da Rosmini nella scarsa formazione del clero con l’abdicazione dei vescovi dal loro primario ufficio di maestri.
È libero, secondo Rosmini, colui che esercita la virtù, colui che sviluppa tutte le proprie capacità e potenzialità ricercando sempre e solo il bene morale. È il bene morale che consente ad ogni soggetto umano di avere il massimo rispetto di sé stesso, rifiutando ogni eccesso e evitando atti o parole che possano ostacolare la libertà altrui (ingiustizie, disuguaglianze, soprusi). In questa visione, che peraltro ha trovato una convinta adesione dell’enciclica “Caritas in veritate”, si guarda alla positività del mercato, come strumento di regolazione degli scambi e di tensione al miglioramento dell’efficienza dell’economia, ma si guarda come complemento necessario alla possibilità di introdurre non a fianco, ma all’interno delle logiche di mercato, elementi di gratuità che possano rendere sempre più umana la dimensione economica.

  • carl |

    Totalmente d’accordo sull’importanza dell’educazione..Che nessuno, nè laicato/laicismo, nè tantomeno il clero è mai riuscito a rendere universale/di massa, nè peraltro ha mai intrapreso seriamente l’impresa di renderla tale….
    Vien da chiedersi come il Rosmini vedrebbe e cosa direbbe delle filande che funzionano autonomamente senza più bisogno di mano d’opera… Ma anche questo (cioè l’avvento e la capillare diffusione dell’automazione) ha tutta l’aria di finire come per l’educazione di massa…Ovverossia che nessuno se ne occuperà (anzi pre-occuperà) comme il faut/comme il faudrait….

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