In questo 2016 compie 80 anni uno dei classici dell’economia, la Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta di John Maynard Keynes. Un libro, e soprattutto una prospettiva di analisi economica, che andrebbero giustamente riscoperti nella loro corretta dimensione costruttiva. Anche se non va dimenticato lo stesso Keynes in questo libro ammoniva sulla necessità di non essere schiavi delle idee degli economisti defunti e come la difficoltà “non sta nelle idee nuove, ma nell’evadere le idee vecchie le quali si ramificano in tutti gli angoli della mente”.
In tema di anniversari si può ricordare come proprio 240 anni fa, ben tre volte il tempo che ci separa dall’opera di Keynes, il 9 marzo del 1776, Adam Smith pubblicava un altro grande classico dell’economia, l’“Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni”, un libro considerato una pietra miliare dell’economia moderna.
Il libro di Smith, in verità, non costituiva una vera e propria novità sotto il profilo dell’analisi e della proposta economica, ma era quella che potremmo chiamare la prima “summa economica” in cui veniva sistematizzato e ordinato il pensiero degli economisti precedenti. E non è un caso che sia passato alla storia soprattutto per una frase su cui sarebbe stata costruita la storia del liberalismo: “Non è dalla generosità del macellaio, del birraio o del fornaio che noi possiamo sperare di ottenere il nostro pranzo, ma dalla valutazione che essi fanno dei propri interessi”.
Si tratta tuttavia di una citazione che non riassume certo tutto il pensiero di Smith che non era di fatto portato ad esaltare il profitto come unica motore dell’attività economica.
Non bisogna dimenticare che la prima opera dell’economista scozzese è stata la Teoria dei sentimenti morali in cui sottolineava come il principio fondamentale della vita debba essere considerato il sentimento della simpatia: gli uomini sono naturalmente portati a giudicare positivamente le azioni che contribuiscono alla socialità positiva. Un giudizio che riguarda non solo le azioni degli altri, ma anche le nostre proprie.
La stessa coscienza morale e la motivazione delle scelte non nascono quindi per Smith da principi razionali interiori, ma derivano dal rapporto aperto che l’uomo ha con gli altri uomini e presentano un carattere prevalentemente sociale. Il sentimento della simpatia permette così di introdurre un principio di armonia nell’apparente conflitto tra gli impulsi della generosità e quelli egoistici. Secondo Smith, la felicità di ognuno è possibile soltanto attraverso la realizzazione del bene degli altri. Ecco quindi che colui che viene considerato il fondatore teorico dell’economia di mercato ha le radici del suo pensiero in una visione delle decisioni che ogni persona prende con l’obiettivo della ricerca della felicità condivisa e non semplicemente e unicamente per interessi individuali.
Smith dimostra così che l’economia è una disciplina umana e sociale e non una scienza che risponde alle leggi della fisica o della matematica. Sulla linea di quanto poi ribadito da Keynes che considerava fondamentale un elemento non certo scientifico, quello dell’incertezza.
(in onda il 4 marzo nella rubrica Plusvalore sulla Rete due della Radio della Svizzera italiana – http://www.rsi.ch/rete-due/programmi/cultura/plusvalore/)