Martedì 22 dicembre ho dedicato la mia settimanale rubrica di risposta alle lettere sul Sole 24 Ore allo scandalo della Banca romana. A più di un secolo di distanza quella vicenda è tornata di attualità ed è stata spunto di un intervento di un lettore in relazione al dissesto di quattro banche, salvate grazie a un decreto del Governo che tuttavia ha sacrificato azionisti e obbligazionisti subordinati. Come ho ricordato nella mia risposta lo scandalo della Banca romana risale al 1892 quando sia la realtà politica, sia quella finanziaria erano profondamente diverse da quelle attuali. Innanzitutto perché la Banca Romana non era un semplice istituto di credito in difficoltà, ma era uno dei sei istituti di emissione dell’epoca che aveva quindi una responsabilità diretta sulla politica monetaria.
Sulle vicenda sono stati scritti interi libri. In breve si può comunque ricordare che nel 1889, si iniziò a parlare di crediti incagliati da parte di numerosi istituti di credito soprattutto a causa della crisi dell’edilizia dopo i grandi investimenti seguiti all’unità. In particolare si scoprì che la Banca Romana non solo aveva stampato grandi quantità di denaro senza l’autorizzazione del Tesoro, ma che aveva anche commissionato ad una tipografia londinese una serie di biglietti con numeri di serie già utilizzati, in pratica denaro falso. Dalle indagini emerse una precisa responsabilità del suo governatore Bernardo Tanlongo, ma anche che la banca aveva utilizzato questo denaro non solo per finanziare le speculazioni edilizie, ma anche le campagne elettorali di numerosi politici e il silenzio accomodante di giornalisti.
Ma per tre anni i lavori della commissione dì inchiesta vennero tenuti segreti nella speranza che la vicenda venisse insabbiata senza coinvolgere con pesanti conseguenze sia il sistema creditizio, sia il mondo politico. Tra l’altro secondo voci mai provate lo stesso re Umberto I si sarebbe servito della Banca Romana per trasferire all’estero rilevanti somme di denaro. Il 20 dicembre del 1892 il deputato radicale Napoleone Colajanni lesse in Parlamento i risultati della prima inchiesta che confermavano l’intreccio tra politica e affari e si creò allora una commissione parlamentare di sette membri che per questo diventerà nota, come “la commissione dei sette” per esaminare i documenti e le testimonianze raccolte.
I risultati di questa commissione vennero resi noti nell’autunno del 1893 e portarono alla dimissioni di Giovanni Giolitti e al suo ritiro (provvisorio) dalla politica. Sul fronte giudiziario vennero arrestati arrestati il direttore della Banca Romana Michele Lazzaroni e il governatore Bernardo Tanlongo, che vennero tuttavia poi assolti per insufficienza di prove. Sul fronte finanziario proprio nel 1893 vennero poste le basi dell’attuale Banca d’Italia che tuttavia solo nel 1926 divenne l’unico istituto autorizzato all’emissione di banconote.
La vicenda della Banca Romana fu quindi insieme un dissesto bancario, uno scandalo politico, un’occasione di riassetto istituzionale e la dimostrazione di una forte dipendenza della magistratura della politica (l’esatto contrario di quanto è avvenuto da Tangentopoli in poi).
Per questo fare un parallelo tra quanto avvenuto a fine Ottocento ed oggi è quanto meno temerario. La storia ha comunque sempre da insegnare, ma spesso sono gli uomini a non voler imparare.
Fino a qui il testo della risposta alla lettera. Vorrei solo aggiungere una riflessione sull’educazione finanziaria che dovrebbe essere, molto di più di quanto è stato fatto finora, tra i temi principali di ogni percorso educativo.