Domenica 14 giugno i cittadini svizzeri, in uno dei referendum che contrassegnano almeno tre volte l’anno la vita politica, hanno approvato, pur se a strettissima maggioranza, le nuove norme di riscossione del canone radiotelevisivo. In sostanza il canone scenderà dal prossimo anno da 460 a 400 franchi ma a pagarlo saranno tutte le famiglie: solo quelle a reddito più basso potranno chiedere l’esonero. Saranno tenute a pagare il canone anche le medie e grandi imprese. La logica della riforma è quella di superare il tradizionale legame tra canone e possesso di un apparecchio televisivo dato che ormai la tv viene sempre di più vista anche attraverso i nuovi strumenti come tablet e smartphone.
La votazione è stata comunque anche considerata come un giudizio sulle scelte, anche a livello di programmi, della SSR, la società svizzera corrispondente alla Rai. La stessa SSR aveva sostenuto apertamente una riforma che estendendo la platea dei contribuenti farà aumentare complessivamente il gettito del canone.
La riforma svizzera può essere un modello anche per il sistema italiano, contrassegnato da un canone più basso, ma con una molto elevata quota di evasione? Nel passato vi sono state varie proposte per estendere a tutte le famiglie il pagamento del canone, ma collegandolo al pagamento delle utenze elettriche: un modo, magari efficace, ma tale da complicare la riscossione oltre che prestare il fianco a concreti dubbi di legittimità. Il modello svizzero ha peraltro molte particolarità: la SSR deve garantire la copertura delle quattro aree linguistiche, la pubblicità è drasticamente limitata ed è completamente assente dai programmi radio, le emittenti private sono poche e devono rispettare stretti limiti di concessione.
Resta comunque il fatto che le decisioni su temi di questo tipo non cadono dall’alto, ma sono almeno ratificate da una decisione libera del popolo. In Svizzera.