La trasparenza è uno degli elementi fondamentali perché il mercato possa essere efficiente, cioè rispondere alle esigenze dei consumatori ed offrire la migliore qualità dei prodotti al minor prezzo. La trasparenza è sinonimo di informazione ed appare quasi paradossale che le teorie economiche classiche abbiano quasi sorvolato sull’influenza e sull’incidenza dei fattori legati alla conoscenza. Così come è per molto tempo rimasto nell’ombra quel ruolo economico della pubblicità che è indubbiamente legato alla crescita dei mezzi di comunicazione di massa.
E’ così che solo a metà del secolo scorso la teorica economica si accorge della pubblicità. Alfred Marshall ne parla distinguendo la pubblicità “informativa” da quella “combattiva”, quest’ultima considerata uno spreco per la collettività in quanto non solo rischia di introdurre nel mercato elementi monopolistici, ma non accresce il valore del prodotto, al contrario di quanto accade nel caso della pubblicità informativa. Un altro economista, Alfred Pigou (Economia del benessere, 1948) pur individuando anche potenziali effetti positivi per la collettività, esprime un giudizio complessivamente negativo per i condizionamenti sulle strategie aziendali e sui consumi che la pubblicità provoca.
Negli ultimi anni bisogna arrivare al 2001 perché il premio Nobel per l’economia venga assegnato a tre economisti americani, Akerlof, Spencer e Stiglitz, per i loro studi condotti sull’influenza dell’informazione nei fatti economici, in particolare sugli ingiusti vantaggi che possono derivare ad alcuni grazie alle asimmetrie informative.
La pubblicità ha come caratteristica di essere un’informazione palesemente di parte, e quindi perché il mercato possa esprimere tutte le sue potenzialità anche la pubblicità deve rispondere a regole essenziali di veridicità e completezza. “La trasparenza ispira fiducia e garantisce la libertà dei singoli”: lo afferma Antonio Catricalà, presidente dell’Authority antitrust che ha anche competenza sul mercato pubblicitario, nel saggio dedicato alla superbia nel libro “Pubblicità, i vizi capitali”.
E i vizi capitali ci sono tutti perché il messaggio pubblicitario è comunque tale da far leva sugli elementi che condizionano le scelte dei consumatori, elementi che sono sempre più legati ai fattori emotivi, alla soddisfazione personale, al compiacimento della conquista. Ma mettere in luce i vizi vuol dire anche fare la strada alla virtù, introdurre regole per garantire la correttezza dell’informazione pubblicitaria: “C’è bisogno, afferma Catricalà, di controllori ferrei ed efficienti, che sappiano accompagnare il mercato senza soffocarlo e senza consentire abusi, furbizie, prepotenze”.
Il punto di fondo è comunque quello di permettere alla pubblicità di esprimere l’enorme potenziale positivo che questa può avere nel favorire la conoscenza e quindi la concorrenza. E questo può avvenire all’interno di uno scenario di regole chiare e mantenendo come guida quella responsabilità sociale che costituisce ormai il filo conduttore del rapporto tra le imprese e il mondo esterno.
“Pubblicità: i vizi capitali” a cura di P. Testa e F. Unnia, Ed. Giuffrè, pag. 200, € 17
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Pubblicato il 22 aprile sul Sole 24 Ore