A partire dalla scuola media unica introdotta nel 1962, vi è stato un progressivo abbandono di quella selezione meritocratica che aveva costituito uno dei punti di forza della grande riforma di Giovanni Gentile. E anzi, quello che prima era un elemento di selezione, come l'esame di stato, costituisce ora un alibi a una scuola di scarsa qualità: «Il valore legale del titolo di studio – spiega Cominelli – copre malamente il fallimento del sistema di valutazione, inquina profondamente il mercato della formazione, consente l'esistenza e lo sviluppo di scuole e università di bassa qualità, altera i meccanismi d'accesso all'impiego pubblico e alle professioni».
L'educazione data in appalto allo stato ha inoltre costituito un elemento che ha reso le famiglie sempre meno interessate e quindi sempre meno responsabili dell'educazione dei figli.
Un classico del liberalismo, Ludwig von Mises, si era espresso senza dubbi: «La scuola non potrà mai funzionare ed essere veramente libera finché resterà in piedi come istituzione pubblica e obbligatoria. Bisogna fare in modo che lo stato, il governo, le leggi non si occupino della scuola e dell'istruzione; che il denaro pubblico non sia speso per questo; che l'educazione e l'istruzione siano affidate interamente ai genitori e alle associazioni e agli istituti privati». Un ribaltamento di prospettiva rispetto a una realtà come quella italiana, in cui ogni volta che si accenna alla possibilità di dare maggiori spazi alla scuola privata si alzano le proteste dei custodi formali della laicità e della Costituzione.
Ma guardando in avanti, anche il possibile e utile confronto tra scuola privata e scuola pubblica rischia di essere superato dai fatti. Perché le radici della crisi stanno nella rigidità di uno stesso modello educativo, che sembra avere il perverso obiettivo d'ingabbiare gli spiriti più dinamici della società.
Giovanni Cominelli, "La scuola è finita… forse", Guerini e associati, pagg. 156, € 16,00