Accade spesso, anche nelle analisi dell'attuale crisi economica globale, che si parli come modello economico di riferimento di "società dei consumi" quasi come alternativa alla definizione più generale, ma anche più precisa, di "economia di mercato". Eppure il consumo non può che essere solo una parte del sistema economico e peraltro non potrebbe esistere se non ci fosse a monte la funzione della produzione. Il consumo e la produzione, in pratica la domanda e l'offerta, sono così le due travi portanti, due travi su cui poggia anche la dimensione dell'impresa, l'elemento centrale della crescita.
In un'altra prospettiva, anche la grande recessione che stiamo vivendo rischia spesso di essere osservata con gli occhiali della macroeconomia, delle grandi tendenze e delle cifre amaramente negative del Pil e della produzione: la realtà dell'impresa è quasi in secondo piano, come una nave in balia di un mare in tempesta.
Eppure, proprio nell'attuale storico riassetto dell'economia mondiale, l'impresa e quindi l'imprenditore non possono che tornare protagonisti. Anche per guidare il passaggio da una società in cui i fattori della crescita erano (e in gran parte ancora sono) legati al "capitale", a un sempre più importante rilievo del fattore "conoscenza". Una tesi attentamente analizzata nel libro La società imprenditoriale di David B. Audretsch, direttore del Max Planck Institute di Jena e profondo conoscitore della realtà americana. Audretsch sottolinea che quella attuale è la crisi del sistema economico tradizionale, una crisi che permetterà alla nuova realtà imprenditoriale di esprimere tutte le sue possibilità.
Questo perché l'imprenditorialità «può costituire l'anello mancante tra l'innovazione e la crescita economica» e sarà la strada attraverso cui potrà essere superato quello che gli economisti chiamano "il filtro della conoscenza", quella barriera che ostacola la possibilità che i risultati delle ricerche di università e istituti scientifici si trasformino in applicazioni industriali e in progresso tecnologico.
Le difficoltà che la conoscenza deve superare per diventare innovazione sono molteplici: vanno dalla scarsa propensione al rischio delle grandi organizzazioni (banche comprese) alle complessità burocratiche, dalla soddisfazione dei risultati già raggiunti alla "trappola del processo decisionale", cioè il prevalere della prudenza tra i responsabili delle decisioni strategiche.
La società imprenditoriale può offrire un orizzonte in cui questi limiti possono essere superati, soprattutto se la dimensione economica trae le conseguenze dal fatto che imprenditori non solo si nasce, ma soprattutto si può diventare. Perché anche l'imprenditoria può essere insegnata come dimostra l'esperienza americana, dove sono nate oltre tremila scuole per imprenditori e dove vi sono ampie possibilità e strumenti finanziari e fiscali. Per favorire il trasferimento tecnologico e di conoscenza dalle università e dai centri di ricerca alle imprese.
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David B. Audretsch, La società imprenditoriale, ed. Marsilio, pagg. 260, € 20,00
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Pubblicato il 23 aprile 2009 sul Sole 24 Ore