La questione meridionale

Viuesti La questione meridionale è ormai una parte integrante dello scenario politico ed economico italiano. I perché di un sottosviluppo che non ha mai trovato una soluzione sono stati regolarmente analizzati, radiografati, esaminati e verificati con un costante, disarmante giudizio: è necessario cambiare. Dalle cattedrali nel deserto alla Cassa del Mezzogiorno, dagli interventi a pioggia agli accordi di programma, dai fondi strutturali a quelli rotativi, dal credito più o meno agevolato agli interventi europei, non c’è stata misura che non abbia mostrato i suoi punti deboli e che non abbia lasciato spazio alla delusione.
Le classiche teorie dello sviluppo economico si sono regolarmente arenate di fronte alla costante carenza di alcuni fattori fondamentali per la crescita. Dove vi è stata dotazione di capitali sono mancate le infrastrutture, dove si è puntato sul capitale umano si è dimostrato insufficiente il capitale sociale, cioè l’efficienza e l’efficacia delle istituzioni, dove si è riusciti a far nascere una ricchezza imprenditoriale vi è stata la contrapposizione dell’economia illegale e della criminalità.
Ma all’interno della storia economica si può rintracciare una costante: lo sviluppo è un elemento che nasce e si rafforza sempre per una concomitanza favorevole di fattori diversi che scatenano una spirale positiva capace di coinvolgere direttamente l’intera società. In questa prospettiva chi ha fallito nel Mezzogiorno?


Gianfranco Viesti, al termine di un libro (Mezzogiorno a tradimento) di analisi pur puntuale ed efficace del sottosviluppo meridionale, fa quasi pensare alla necessità, di «salvare il Meridione dai meridionalisti» parafrasando il noto e ormai storico libro di Rajan e Zingales. Ci sarebbero ben poche speranze infatti se fosse vero, come afferma Viesti, che la «questione meridionale è una questione tutta politica che si intreccia con la manutenzione straordinaria del modello di sviluppo nazionale, con un nuovo patto collettivo di cittadinanza».
Infatti il meridionalismo basato sulla politica come fattore di crescita è destinato inevitabilmente all’insuccesso, come regolarmente avvenuto negli ultimi decenni. L’attuale crisi finanziaria mondiale dovrebbe aver insegnato come il compito della politica deve essere quello di fare le regole, esercitare i controlli, permettere al mercato di funzionare, rispondere ai bisogni collettivi su fronti come quelli dell’istruzione, della sanità e della giustizia. Creando finalmente le condizioni perché gli spiriti imprenditoriali, che si trovano in abbondanza anche nel Dna del Sud, possono esprimersi.
Tanto più in questo scenario lo sviluppo può derivare da una contaminazione positiva delle aree forti verso quelle più deboli. Il nodo della crescita è così un problema che riguarda l’insieme del Paese, che riguarda una modernità da conquistare e da difendere con le grandi reti europee, le infrastrutture reali e di comunicazione virtuale. La politica ha grandi doveri (al Sud con la giustizia e la lotta alla criminalità al primo posto) ma non può certo far tutto.

Pubblicato il 15 gennaio 2009 sul Sole 24 Ore