I conti pubblici italiani non sono solo perennemente in crisi, sono anche una giungla di competenze sovrapposte, di conflitti contabili, di inerzie amministrative. Il risultato è che il bilancio dello Stato costituisce lo scenario su cui si svolgono da una parte i grandi scontri della politica e dall’altra i piccoli aggiustamenti per distribuire favori e raccogliere consensi. Con una logica di spesa che anno dopo anno ha fatto sì che il debito pubblico italiano, come ricorda spesso il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, sia il terzo al mondo, pur essendo l’Italia ben lontana dall’essere la terza economia del mondo.
In passato, a fine anno le aule del Parlamento, così come le pagine dei giornali, erano impegnate a discutere e criticare la legge finanziaria, il pilastro che è stato per anni al centro dei conti pubblici. Questa volta ci sarebbero state tutte le premesse perché l’assalto alla diligenza non si ripetesse: in luglio il Governo aveva fatto approvare un rigoroso documento di programmazione che poneva forti limiti all’andamento della spesa, con tagli significativi ai bilanci dei ministeri. Ma la crisi finanziaria ha sconvolto lo scenario e la corsa ai piccoli o ai grandi interventi si è spostata ai provvedimenti studiati per rilanciare l’economia e ridare ossigeno alle famiglie e alle imprese.
La guerra per il rigore della spesa continua così ad essere ai blocchi di partenza, almeno fino a quando non sarà possibile riformare le logiche di funzionamento dello Stato eliminando, per esempio, sovrastrutture pletoriche come le Province. E così, se è vero che «la Finanziaria siamo noi», come afferma nel suo libro Stefano Lepri, giornalista della Stampa, è altrettanto vero che quel «noi» viene spesso inteso non nel senso dell’interesse collettivo, ma nella somma degli interessi individuali, interessi che solo grazie alle erogazioni pubbliche non entrano in conflitto tra di loro. I rivoli della spesa non si fermano anche perché «a proteggere gli sprechi resta una rete intricata di complicità, tra i politici centrali e locali, i burocrati e le forze organizzate della società. Per incidere sulla spesa non basta ridurre dall’alto gli stanziamenti, occorre modificare i meccanismi che consentono di eludere le leggi».
Al fondo resta una logica d’impegno pubblico che contraddice le regole del mercato, regole che dovrebbero e potrebbero portare ad esaltare la qualità del servizio, il merito di chi lo produce, la soddisfazione del cliente-utente-cittadino. Invece la catena degli sprechi si allunga sfruttando le dinamiche in teoria virtuose, come l’alternanza democratica dei partiti al potere (al centro come in periferia) che fa in modo che le nuove amministrazioni aggiungano impegni per compensare i propri elettori senza tagliare le decisioni precedenti. È così che un ricovero in ospedale può costare in una Regione il doppio rispetto alla Regione vicina. È così che le liberalizzazioni che potrebbero portare a maggiori risparmi e maggiori efficienze segnano il passo sia con i Governi di (centro)destra come con quelli di (centro)sinistra. Con al fondo l’eterna domanda: come potrà la politica riformare se stessa, riducendo gli sprechi, se proprio la logica delle elargizioni è alla base della conquista del consenso.
Stefano Lepri, "La Finanziaria siamo noi", Ed. Chiarelettere, pagg. 240, € 13,60
Pubblicato sul Sole 24 Ore di giovedì 11 dicembre