Obama, il sogno e la realtà

Obama Nella vittoria di Barack Obama alle elezioni presidenziali americane vi sono certamente gli elementi di novità, di voglia di cambiamento, di cavalcare ancora una volta un grande sogno. Così come ha pesato in maniera decisiva il giudizio negativo sull’amministrazione Bush su tanti fronti e in particolare con la tragedia ancora aperta della guerra in Iraq.
Obama, tuttavia, lo aveva detto spesso nei comizi per le primarie, in tempi in cui la crisi finanziaria sembrava ancora limitata e circoscritta: «Queste elezioni si decideranno sui temi dell’economia». E così è stato, come sottolinea Luciano Clerico, corrispondente dell’Ansa da Washington, nella sua analisi Barack Obama. Come e perché l’America ha scelto un nero alla Casa Bianca.
Così è stato non perché l’economia sia ormai la dimensione dominante della politica e nemmeno perché sono rimasti decisivi i rapporti tra le grandi corporation e le lobby finanziarie e l’amministrazione di Washington. Ma perché Obama ha saputo imboccare insieme le strade in teoria contrapposte del realismo e del sogno. Del realismo perché ha parlato di cose concrete, di lavoro difficile, di prezzi in aumento, di fiducia in calo, di consumi stagnanti. Del sogno perché ha rimesso al centro la forza dell’America, e quindi di ogni americano, nel rimettersi in gioco per affrontare i problemi e superare la crisi.

E così i punti di forza sono stati pochi, ma precisi, obiettivi particolarmente vicini alla sensibilità oltre che agli interessi immediati dei cittadini. Sui mutui, sui salari, sull’industria, sull’assistenza sanitaria, sulle pensioni: una strada possibile con «regole per tornare a un’economia reale lontana dalle alchimie finanziarie proprie delle Borse globali d’inizio millennio». È su questo piano che l’economia s’incrocia con la politica e soprattutto con la società.
Proprio scorrendo la campagna elettorale compiuta dal neoeletto presidente, e illustrata da Clerico con una ricca documentazione, si scopre il filo logico del voler ricondurre a unità l’immagine del cittadino americano: una stessa logica nell’essere lavoratore, consumatore, padre di famiglia, titolare di un mutuo, giovane o anziano, con qualunque colore della pelle o da qualunque origine si provenga. Obama è in fondo la rappresentazione del principio di fondo dell’uguaglianza secondo le teorie liberali: uguaglianza che va ricercata con tutte le forze nei punti di partenza per lasciare invece a ciascuno le possibilità di esprimere le proprie potenzialità fino ai più alti livelli sociali.
L’arrivo alla Casa Bianca di un giovane nero nato alle Hawaii da un genitore giramondo keniota è la dimostrazione di come la selezione della classe dirigente della società americana sia lontana anni luce dal nepotismo e dalla gerontocrazia. Purtroppo, come sottolinea Ferruccio de Bortoli nella prefazione, «uno di quegli atti unici di cui non è prevista né replica, né adattamento europeo».
Pubblicato sul Sole 24 Ore del 20 novembre